A CHE PUNTO È LA NOTTE, di Fruttero e Lucentini
Il secondo omicidio è quello di un carabiniere sotto copertura che prima di essere ucciso a bordo della propria auto ha il tempo di lasciare scritto sul cristallo appannato del parabrezza un messaggio riconducibile allo gnosticismo. Del terzo omicidio non dirò, per non guastare la sorpresa.
Ad indagare sull’intricatissima storia è chiamato lo stesso commissario Santamaria de “La Donna della domenica” che a me sembra la figura cardine sui cui si imposta la visione letteraria e di genere di Fruttero e Lucentini. Quello che piace, infatti, al di là della trama avvincente e delle soluzioni stilistiche, è che in questo romanzo la gnosi è un sistema in opposizione al giallo inteso come genere, mentre il detective si trova al polo opposto dell’iniziato. Santamaria, infatti, come tutti gli investigatori, deve spingersi a scoprire le leggi che regolano il ritmo del mondo e a ridare loro un ordine che ci riconcili con il concetto di giustizia e di bene. Il nostro commissario procede nell’indagine in maniera bonaria, umanissima, autoironica. Usa il disincanto come una mistica e fa balenare i bagliori di un’intelligenza dimessa e rassegnata all’assurdo, ma comunque capace di rischiarare il mondo, anche solo quello di una grande città del nord Italia e di alcuni suoi abitanti.
La soluzione dell’enigma avverrà grazie ad un impiegato di una casa editrice (la penna di F&L si affila in pagine memorabili anche sul mondo editoriale e su certi cliché culturali), ad uno dei primi calcolatori e alla decifrazione del messaggio del povero carabiniere. E sarà un finale tutt’altro che mistico, perché andrà a toccare il totem del boom economico ed industriale italiano.
Le ultime delle oltre 600 pagine di “A che punto è la notte” sono affidate all’Eterno presunto in persona e ribadiscono il tratto caratteristico di Fruttero e Lucentini: quell’amabile fermarsi sulla soglia delle grandi questioni (Dio, l’Amore, il Bene, il Male) per poi aprire la porta con una chiave a caso, vivendo sempre come se si vivesse tra parentesi, con l’affettuosa e bonaria ironia che è distintiva di chi ama i generi popolari.
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