A GRANDEZZA NATURALE, di Erri De Luca
La scrittura di Erri De Luca si riconosce per un attributo semplicissimo, subito evidente, immediatamente lampante: la sua essenzialità.
Lo stile dello scrittore napoletano è peculiare come non mai per questo motivo, vanta un’asciuttezza di modi che non rimanda al prosciugato, al riarso ed al laconico, bensì al breve, all’agile, al conciso ma costruttivo, ai suoi testi smilzi non corrisponde mai una povertà di contenuto, tutt’altro.
De Luca è autore potente, colto, elegante, forbito: usa termini adatti, racconta con parole precise, perciò solo per questo le sue conclusioni sono esaurienti ed esaustive, esprime sempre compiutamente il suo dire con le opportune locuzioni. Un suo testo non è brusco e stringato, semplicemente non è ridondante, perché non ha necessità di dilungarsi per esternare ancora meglio il concetto, è superfluo un ulteriore dire. Per questo i suoi testi non contano molte pagine, come questo volumetto “A grandezza naturale”, e però per quanto esile il racconto restituisce una natura grande, estesa, ricercata e particolareggiata.
Erri de Luca è uomo nato in una città di mare, espansiva, dispersiva e contraddittoria, a quella appartiene ed in essa è cresciuto a sua immagine, assorbendone gli umori insieme alla salsedine, e però ha anche acquisito negli anni, smussandolo ad arte, cesellato dai suoi trascorsi di vita, l’animo brusco, non rude ma sollecito, non burbero ma silenzioso, di uomo di montagna, di montanaro con scarponi, piccozza e dita forti da arrampicata, vista la levatura morale raggiunta, direi montanaro di alta quota. Non un semplice esteta dei monti, direi una stella alpina, con i colori di anemone di mare. Così anche la sua scrittura ci appare, aspra e rocciosa, solitaria e silenziosa, di pochi concetti essenziali espressi con ancora meno parole: l’alta montagna vanta aria gelida e rarefatta, non permette di arieggiare inutilmente i denti. Nemmeno sott’acqua puoi darti a conversazioni, ma a brevi cenni. Tema di “A grandezza naturale” è la paternità, un concetto ed una esperienza comune ma anche non di tutti: tutti abbiamo la prerogativa di essere figli, molti invece padri non lo sono e non lo sono mai stati, tra questi si conta anche De Luca, che padre di suo non è, ma un padre lo ha avuto, come tutti.
Come dire, un’esperienza a metà, figli sì ma padri no: ciò malgrado, il tema è sempre comunemente sentito, giunge cioè sempre il tempo della vita in cui lo status di genitore va considerato in toto, qualche riflessione la propria coscienza la sollecita comunque in sede di bilanci e revisioni, e se non si è dato personalmente alla luce bambini, e quindi non si può discettare su se stessi in tale veste, comunque bambini, giovani, figli lo si è stati, nell’uno e nell’altro caso o in ambedue i ruoli si può, si deve, riconsiderarsi e porsi in confronto con l’insegnamento e l’esempio paterno ricevuto, il pensiero torna inevitabilmente al proprio di genitore, lo si voglia o no.
E la conclusione, spesso, è una sola: onora il padre. Senza se, e senza ma, a volte è una conclusione quasi inevitabile, aveva ragione lui, viene da dirci quando siamo avanti negli anni.
Questo concetto così intenso è incredibile che De Luca lo descriva accuratamente in poco più di un centinaio di pagine. Perché sia chiaro che lo descrive, non lo evoca, lo dice chiaro e tondo, con parole precise, non secche, ma sostanziali. Riferite ad un concetto, quello della paternità, a cui desidera restituire a grandezza naturale il suo peso basilare : di più, essenziale.
Recensione di Bruno Izzo
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