A UN CERBIATTO SOMIGLIA IL MIO NOME David Grossman

A UN CERBIATTO SOMIGLIA IL MIO NOME, di David Grossman (Mondadori)

 

 

Gerusalemme. Durante uno degli innumerevoli episodi della conflitto israeliano- palestinese, tre adolescenti, Orah, Ilan e Avram, rispettivamente una ragazza e due ragazzi, si conoscono per caso in un ospedale mentre sono in isolamento per una strana malattia contagiosa. La malattia con i deliri della febbre e l’atmosfera irreale dell’ospedale contribuiscono a creare tra loro tre un rapporto del tutto particolare, un’amicizia amorosa tra Orah e i due ragazzi. Dopo tantissimi anni, Orah ha due figli ventenni e si è separata da poco da Ilan. Il figlio minore, Ofer, terminati i tre anni di leva, ha deciso di partecipare ad un’azione militare e Orah, angosciata, decide di non restare a casa ad attenderlo, ma farà proprio con Avram la gita in Galilea che aveva programmato di fare con Ofer. L’occasione sarà propizia per raccontarsi dall’inizio la loro storia e per qualche rivelazione.

La narrazione è contemporaneamente delicata, secondo lo stile di Grossman, ma poderosa per le vicende raccontate: la guerra, in primis, implacabile, che ha portato via un figlio allo stesso Grossman, il quale mentre il ragazzo era impegnato nel conflitto, era già a buon punto con la stesura del libro ma la morte del ragazzo, come lo stesso Grossman racconta nella postfazione, ha dato una lettura diversa poi a tutta la storia. Poi la tortura, la morte interiore che ne segue, la paternità negata, l’angoscia, la scelta tra due amori, l’amicizia, l’immensa amicizia. Grossman si concede innumerevoli flashback in una linea temporale che salta di qua e di là continuamente, alternando la terza persona con la narrazione in prima persona da parte di Orah.

Libro di grandissima attualità, purtroppo, importante, con qualche lungaggine di troppo, ma che è giusto leggere e incanalare nella giusta prospettiva.

Recensione di Nadia Carella

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