Abbiamo intervistato Beppe Roncari, autore di un’interessante rilettura in chiave “storico-fantasy” del classico per eccellenza “I promessi sposi”

Abbiamo intervistato Beppe Roncari, autore di un’interessante rilettura in chiave “storico-fantasy” del classico per eccellenza “I promessi sposi”

Intervista n. 220
Beppe Roncari –  foto di Guido Suardi – Fotosintesi

1 – Come prima domanda ti chiederei di presentarci brevemente l’universo di “Engaged”.

 

Il mondo di “Engaged” nasce da due semplici What If. Il primo: «E se… tutto quello che credevano nel Seicento fosse stato vero?» E il secondo: «E se… il manoscritto Anonimo fosse davvero esistito e avesse raccontato una storia diversa da quella “riscritta e rifatta” da Manzoni?» Il racconto dell’Anonimo, dai brani riportati e dagli accenni fatti dallo scrittore del «retelling» ottocentesco, contiene «in angusto Teatro luttuose Traggedie d’horrori, e Scene di malvaggità grandiosa, con intermezi d’Imprese virtuose e buontà angeliche, opposte alle operationi diaboliche». Questo per quanto riguarda il sistema magico e la parte fantasy. Quanto alla parte romance, cioè alla storia d’amore tra i due sposi promessi, è Manzoni stesso nel “Fermo e Lucia” a dirci che a differenza della sua versione, dove non se ne trova traccia, il manoscritto dell’Anonimo «trabocca invece di queste cose, e deggio confessare che sono anzi la parte la più elaborata dell’opera: ma nel trascrivere, e nel rifare, io salto tutti i passi di questo genere.»

Insomma, e se fosse stato Manzoni a fare il retelling del manoscritto dell’Anonimo, epurandolo da tutti i riferimenti alla magia… e all’amore?

Immaginatevi la rabbia dell’Anonimo!

Ecco, “Engaged” ridà vita alla sua versione. Non è però il manoscritto originario, scritto nel Seicento, ma una terza versione che tiene conto della storia narrata da Manzoni nell’Ottocento. A duecento anni dal primo retelling e a quattrocento dagli avvenimenti di cui lui stesso è stato testimone, l’Anonimo riprende la parola e, con una nuova consapevolezza, narra nuovamente la vicenda di Renzo, Lucia, Rodrigo e Gertrude, svelando i segreti della Storia nascosta dietro la storia de I Promessi Sposi.

In “Engaged” quindi vediamo all’opera tutte le credenze del tempo, filologicamente ricostruite, solo fingendo che siano vere! Maghi e streghe, licantropi e spiriti confinati, dalle pratiche magiche come legature, segnature, agli esseri sovrannaturali, come angeli, demoni, e perfino i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse.

Inoltre, l’Anonimo ci rivela i segreti degli antenati di Manzoni, discendente – per via paterna – da una famiglia che era in una faida sanguinaria con quella di Don Rodrigo, ovvero gli Arrigoni, «signorotti locali» del palazzo dello Zucco di Volate, rivali per il controllo delle miniere di ferro e degli altiforni del Lecchese e della Valsassina. Oltre a essere – per parte di madre – un discendente diretto di un altro personaggio della storia lasciato, guarda caso, Innominato…

 

2 Qual è stata l’idea o la spinta che ti ha portato a cimentarti in un progetto così ambizioso?

 

Come lettore e come scrittore amo tre cose: la storia, la fantasia e la letteratura. Ho sempre sofferto per il fatto che le opere fantasy erano e in qualche modo sono ancora considerate letteratura di serie B.

Così, nel mio piccolo, volevo tentare mettere in luce importanza dell’immaginazione e dell’elemento fantastico come fonte di ispirazione di tutte le opere letterarie, realistiche o meno, perché per me, da ragazzo, non trovavo nessuna differenza sostanziale tra “I Promessi Sposi” di Manzoni e “Il Signore degli Anelli” di Tolkien. Anzi, mi parevano opere sorelle per quanto riguarda l’ispirazione, l’amore per la storia (vera o inventata) e il profondo pessimismo mitigato solo dalla fede.

Avendo poi letto delle opere fondamentali del fantasy storico come “Jonathan Strange e il Signor Norrell” di Susanna Clarke, che rilegge le guerre napoleoniche in un’Inghilterra in cui tornano all’improvviso la magia e gli esseri faerici, e in Italia “Eternal War” di Livio Gambarini e “L’Ora dei Dannati” di Luca Tarenzi, che rielaborano in modo fantastico la “Divina Commedia” di Dante Alighieri, mi sono convinto che per abbattere il muro del pregiudizio occorresse affrontare l’altro grande mostro sacro della nostra letteratura, il meno «fantasy» di tutti – almeno secondo l’opinione corrente –, Manzoni.

Dante infatti ha già elementi fantastici, come pure l’Ariosto dell’“Orlando Furioso”. Manzoni invece è considerato l’epigono della letteratura realistica, quella del «vero storico», solo limitatamente mitigato dal «vero poetico».

Se fossi riuscito a dimostrare che anche un’opera come “I Promessi Sposi” nella sua ispirazione profonda, e nello spirito dell’epoca, conteneva elementi fantasy, avrei potuto quanto meno suscitare il dubbio che l’elemento fantastico potesse dar vita a opere di letteratura di valore.

La rilettura del brano già citato dell’introduzione dell’Anonimo sulle «buontà angeliche, opposte alle operationi diaboliche» è stata la scintilla che mi ha fatto dire, come il dottor Frankenstein Junior, «Si-Può-Fare!».

3 “I Promessi Sposi” è una di quelle opere che fa parte dell’epidermide della nostra cultura, quali sono le sfide e gli ostacoli che si possono incontrare nell’approcciarvisi?

 

Le insidie sono molteplici, e spesso subdole e nascoste. Per riscrivere un romanzo storico, era innanzitutto necessario essere “più storico di Manzoni”, saperne più di lui sul Seicento e sulla cultura materiale dell’Italia sotto la dominazione spagnola. Per fortuna, anche grazie alla fortuna del romanzo originario, la bibliografia ormai è sterminata, e uno scrittore contemporaneo ha dalla sua anche la disponibilità dei documenti in forma molto più immediata di quanto non fosse per un autore dell’Ottocento.

Ho dovuto in ogni caso fare ricerca d’archivio, come Manzoni stesso, ma spesso gran parte del lavoro di documentazione era già stato fatto da migliaia di storici e critici letterari. Il problema era piuttosto distinguere le informazioni significative dalla massa di rumore bianco e unire i puntini.

Un esempio su tutti, il personaggio di Renzo. Manzoni di lui ci dice solo che: «Era fin dall’adolescenza, rimasto privo de’ parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir così, nella sua famiglia.» La domanda che mi sono fatto è stata: «Sì, OK, ma cosa faceva nel concreto un “filatore di seta” e cosa significa questo elemento dell’ereditarietà? Quindi, ho studiato la proto-industria della seta e scoperto l’incredibile storia del furto del segreto industriale dei «mulini da seta alla bolognese», scoprendo che un filatore, o meglio, «torcitore» di seta, doveva essere un ingegnere e meccanico in grado di far funzionare una macchina enorme alimentata dall’energia idraulica, una tecnologia perfezionata a suo tempo da Leonardo da Vinci. I «mastri» di queste professioni, come i «Liberi Muratori», si passavano i segreti gelosi della loro «arte» di padre in figlio ed erano spesso membri di società segrete, come la prima documentata storicamente, quella dei Rosa Croce. Ho creato perciò i «Liberi Pescatori» e li ho intrecciati con la «cabala» di cui parla Manzoni stesso nel suo libro e con la credenza nell’esistenza di una «setta» segreta di «Giordanisti» che si ispirava agli insegnamenti esoterici di Giordano Bruno, mandato al rogo nel 1600. Questo dal punto di vista storico.

Dal punto di vista letterario, la sfida era quella di rielaborare in chiave magica i personaggi de “I Promessi Sposi” senza tradirli, anzi, scovando e portando sulla pagina le loro motivazioni più profonde e, perché no, il loro lato fantasy.

 

 

 

4 Un elemento che ho percepito molto bene è il grande lavoro e la cura che hai messo nel rimanere sostanzialmente coerente con lo spirito manzoniano, calandolo in una dimensione per certi versi più moderna ma ben strutturata e con grandissimo rispetto (cosa che non sempre ho visto fare da altri autori nei confronti per esempio di Dante). Vorrei chiederti in cosa Manzoni ti ha ispirato e in cosa hai sentito la sua influenza?

 

Sono stato fortunato. Sono entrato in sintonia con Manzoni fin dalla più tenera età, perché la mia insegnante delle elementari ce lo aveva fatto leggere in versione illustrata e ridotta in quinta elementare, quando avevo solo dieci anni.

Di Manzoni apprezzo tantissimo l’amore per la storia, la tensione romantica (nel senso letterario, non nell’accezione contemporanea di “romanticismo”), la tensione eroica nel proseguire ad agire come se si avesse fede in qualcosa di più grande (cioè il rifiuto programmatico della disperazione) combinata però con un profondo pessimismo esistenziale.

Se ci pensiamo, non è affatto vero che “I Promessi Sposi” finiscono «bene» e che ogni cosa è stata risolta dalla Divina Provvidenza. I personaggi del capolavoro di Manzoni non sono nelle mani di Dio, ma del caso, e l’autore non manca di sottolinearlo, magari in modo nascosto, con la sua pungente e amara ironia. “I Promessi Sposi” sono solo apparentemente «un’opera fondamentalmente religiosa e cattolica» (rubo questa frase da Tolkien, si vedrà fra poco perché), anzi, la morale è che i guai capitano sia che ce li si vada a cercare, come Renzo, sia che non si faccia nulla per procurarseli, come nel caso di Lucia, e che avere fede aiuta soltanto a sopportarli meglio, perché ci illude che ci sia un senso, e ci dà la forza di reagire. Nel finale del libro, però, i due promessi, finalmente sposi, sono costretti a lasciare il paese d’origine, dove la casa e la vigna di Renzo sono stati saccheggiati non solo dalle autorità spagnole ma anche dai vicini, che ne hanno fatto razzia, e anche nel paese del bergamasco, dove emigrano, Renzo rischiava di vivere nell’amarezza e infelice, perché si era diffusa la fama della bellezza di Lucia, concupita da don Rodrigo e rapita dall’Innominato, ma che la gente si aspettava chissà che e «ci furon fin di quelli che la trovavan brutta affatto.» Solo il secondo trasferimento in un altro paese ancora, in cui non avevano sentito parlare di Lucia, riporta la pace in famiglia.

La conclusione positiva della vicenda, poi, è stata determinata solo dalla Peste, e quindi dalla morte accidentale di Rodrigo. Per non parlare della fine fatta dalla Monaca di Monza, murata viva per tredici anni proprio dall’angelico cardinal Federigo Borromeo, su cui Manzoni glissa, e di molte altre vittime innocenti di cui la storia non ci dice nulla.

Manzoni era consapevole di questo stato di cose, e infatti voleva che alla fine de “I Promessi Sposi” fosse sempre stampata la “Storia della Colonna Infame”, un esempio di report giornalistico su un «cold case» di ingiustizia, in cui due poveri capri espiatori furono mandati al rogo come untori per placare il malcontento popolare.

Leggere Manzoni vuol dire entrare in contatto con una persona che comprendeva l’animo umano come pochi prima di lui. E per quanto i due autori siano diversi, ho sempre trovato molti parallelismi tra la sua poetica e quella dell’altro grande autore che è sempre stato per me un faro di ispirazione: J.R.R. Tolkien.

 

5 Qualche anno fa mi è capitato di ascoltare un album che oggi definirei «della vita», e parlo di “Pictures at an Exhibition” di Emerson Lake & Palmer, rielaborazione rock della composizione di Modest Mussorgskij, e di essere rimasto così colpito da correre a recuperare l’opera originale. Pensi che la lettura di “Engaged” possa spronare a riscoprire la bellezza de “I Promessi Sposi”, vincendo una certa ritrosia da ricordi scolastici?

 

Ne sarei lieto. Tra i miei lettori ci sono state molte persone che odiavano in modo viscerale Manzoni, anche a causa dell’obbligo scolastico, ma a cui è venuto voglia di recuperarlo proprio dopo la lettura di “Engaged”. Per esempio, il mio amico e collega scrittore Wladimiro Borchi ha scritto sui suoi social: «L’unica nota negativa è che mi è venuta voglia di rileggere “I Promessi Sposi”.»

“Engaged” è un’opera che si può leggere anche in autonomia rispetto al capolavoro manzoniano, ma di sicuro è stato scritto con tanto amore nei suoi confronti.

Per me la letteratura, e tutte le arti in generale, sono sempre inserite in un dialogo vivo con il passato, il presente e il futuro. In tal senso, i «retelling» sono sempre esistiti, anzi, di alcune opere che consideriamo originali, oggi, abbiamo perso la percezione del fatto che si innestavano su narrazioni precedenti. Due esempi tra tutti: “Romeo e Giulietta” di Shakespeare e “L’Orlando Furioso” di Ariosto.

 

6 Una cosa che mi ha incuriosito molto e di cui ti chiederei un parere è stato il fatto che questa lettura abbia in qualche modo dato una sorta di interpretazione (fantasiosa) a certe domande che mi sono sempre fatto, “Cosa aveva di speciale Lucia da sconvolgere due prepotenti come Don Rodrigo e l’Innominato? e Cosa aveva di così temibile Padre Cristoforo?”. 

 

È proprio così! Anch’io mi sono fatto le tue stesse domande, con l’intento di scoprire il «true character» nascosto dietro la caratterizzazione, a volte molto essenziale, di questi e di altri personaggi de “I Promessi Sposi”.

Per Lucia mi sono chiesto: «Perché si mostrava così umile e religiosa, pur avendo una forza interiore strabordante? Come mai è così “spirituale” ma mai bigotta? Cos’ha da nascondere?».

Per padre Cristoforo mi sono chiesto da cosa derivasse il suo temperamento, sempre sull’orlo di ricadere nella violenza quasi bestiale della sua adolescenza, e mi sono dato una risposta legata all’abito francescano che aveva scelto di indossare e a uno strano dettaglio sottolineato da Manzoni nel suo romanzo: la notte del 13 novembre 1628, quella in cui fallisce il tentativo di matrimonio «a sorpresa» e Renzo e Lucia fuggono a Pescarenico, la notte dell’«Addio, monti»… era una notte di luna piena!

 

 

 

7 Non dobbiamo dimenticare che nei due romanzi giocano un ruolo fondamentale Giordano Bruno, forse il filosofo più temuto dalla cristianità del tempo, e il suo Libro mai pubblicato. Viene da pensare molto ai giorni nostri dove da più parti si tenta di imporre un dominio sulla cultura e dove quest’ultima fa paura, condividi?

 

La cultura è pensiero libero, e per questo sarà sempre rivoluzionaria ed eversiva, ma non in senso violento. Io ho sempre visto la violenza scaturire più dallo status quo che cerca di perpetrarsi, piuttosto che da parte di coloro che hanno avuto il coraggio di dire la loro verità, in ogni tempo.

Giordano Bruno non era né un visionario né un uomo fuori dal proprio tempo. Anzi, era un pensatore che incarnava perfettamente l’ideale dell’uomo rinascimentale, che non ha paura a mettere in dubbio tutto (come Cartesio), ad affidarsi ai sensi (come Galileo) e a dire quello che pensava. E ha pagato con le sue peregrinazioni di corte in corte, e poi con la vita, queste sue convinzioni.

Le sue intuizioni, oggi, ci sembrano davvero illuminate, soprattutto quando superava il Copernicanesimo stesso, dicendo che tutte le stelle del cielo probabilmente erano altrettanti soli, con sistemi planetari che giravano loro intorno, probabilmente abitati da altre creature razionali come noi.

Scrivendo una storia ambientata nel Seicento italiano, per me, era impensabile non parlare del rogo di Giordano Bruno (1600) e del processo che portò all’abiura Galileo Galilei (1633), perché era quello il clima culturale e sociale in cui si svolsero davvero le vicende de “I Promessi Sposi”, l’epoca d’oro dell’inquisizione e della caccia alle streghe, di cui però nell’opera manzoniana non c’è traccia, a parte l’accenno alla condanna come strega di Caterina Medici da Broni (a causa della testimonianza del medico Lodovico Settala), all’ironia riservata ai testi di stregoneria nella biblioteca di Don Ferrante e alla già citata vicenda degli untori (e quindi stregoni) Guglielmo Piazza e Giacomo Mora in “Storia della Colonna Infame”.

 

8 Esiste nei tuoi sogni e/o progetti qualche altra opera o autore che potrebbe spingerti verso un’operazione come quella di “Engaged”?

 

Sì, anche se questa volta non si tratterà di un retelling, ma di un’opera originale. E c’entrerà ancora Giordano Bruno! In questo periodo, infatti, sto studiando la corte di Elisabetta I e gli «anni perduti» di William Shakespeare. Il cocktail che ne verrà fuori, tra la storia, le fate di “Sogno di una notte di mezz’estate” e gli spiriti della “Tempesta”, sarà un romanzo fantasy storico con una protagonista femminile fortissima… ma non voglio dire di più, per il momento.

 

9 Oggi la comunicazione e la condivisione passano sempre più attraverso i social? Qual è il tuo rapporto con questa realtà?

 

In passato, ho lavorato come esperto di comunicazione digitale e social media manager, anche per realtà quali la Scuola Holden e l’Agenzia Spaziale Europea, per cui i social erano già nelle mie corde da tempo.

Con la pubblicazione del libro, poi, ho dovuto rimboccarmi le maniche e trovare una strategia comunicativa adatta a entrare in comunicazione con persone molto diverse tra loro: dai giovanissimi booktoker alle realtà istituzionali.

È una cosa che faccio con passione e anche volentieri, ma richiede molto tempo (ogni giorno) e tante energie. In pratica è un secondo lavoro, e infatti la promozione di “Engaged” 1 e 2 mi ha impedito di rimettermi subito all’opera come scrittore.

 

10 Come ultima domanda una curiosità. Sempre più spesso ci troviamo ad assistere a trasposizioni filmiche o grafiche di romanzi più o meno classici. Come vedresti i due “Engaged” in versione «graphic-novel»?

 

Li vedrei benissimo, anzi, già me li immagino, anche in versione «anime». Proprio per questo, ho chiesto alla mia casa editrice di candidare “Engaged” 1 e 2 per gli adattamenti audiovisivi, e ho avuto la soddisfazione di vederli segnalare sia nel concorso “Guarda che storia!” della Piemonte & Torino Film Commission e “Tre Colori – Inventa un film”.

Amo tantissimo i fumetti, per cui anche questo adattamento sarebbe graditissimo. D’altronde, anche “I Promessi Sposi” erano una «graphic novel» ante-litteram, con più di trecento illustrazioni realizzate da Francesco Gonin. Molte delle quali sono inaspettatamente fantasy, come quella del frontespizio che vede Lucia protetta da un angelo tra due figure armate di pugnali, una terza con le orecchie a punta come un satiro e una quarta simile a un’anima del Purgatorio. Potrebbe essere più fantasy di così?

 

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

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