Abbiamo intervistato Dario Voltolini, partendo dal suo ultimo romanzo “Invernale” e approfondendo la sua proposta narrativa

Abbiamo intervistato Dario Voltolini, partendo dal suo ultimo romanzo “Invernale” e approfondendo la sua proposta narrativa

 

Intervista n. 244

 

Dario Voltolini

 

1 Per prima cosa ci può presentare il suo romanzo “Invernale“?

In “Invernale” racconto gli ultimi anni di vita di mio padre Gino, agnellaio al mercato alimentare di Porta Palazzo, a Torino. Mio padre è mancato nel 1982, poco dopo la vittoria dell’Italia al Mondiale. Era malato da qualche anno. Aveva 50 anni e io 23. Ho scritto il libro nel 2022, nel quarantennale della sua morte, per celebrarlo nel ricordo e per farlo conoscere a mia figlia Evelina tramite un racconto.

 

2 Mi ha colpito molto la parte iniziale, molto dettagliata e cruenta, quasi la descrizione di una scena di guerra. Come è arrivato a concepire un simile inizio e qual è il suo intento a riguardo?

Da un lato c’è la mia gioia di lettore che, leggendo tanti anni fa “Conversazione nella Cattedrale” di Mario Vargas Llosa”, si era trovato inserito, catapultato, nella scena iniziale (lì dura un intero lungo complesso capitolo) come dentro a un teatro, a un concerto, a una città vivente. È da allora che iniziare presentando a chi legge una scena dinamica mentre si sta svolgendo è un mio desiderio. Naturalmente Vargas Llosa è irraggiungibile, per me. Ma l’input me lo ha dato e qualcosa devo farne.
Dall’altro lato, questa è la scena (anche fisica e ambientale) decisiva per tutto il racconto. E siccome da bambino e poi da ragazzo io in quel banco di macelleria ci andavo e ci ho persino un po’ lavorato, mi sembrava importante testimoniare un mestiere avendone avuto un’esperienza dall’interno, cioè conoscendolo anche nella sua struttura e non solo per come appare a chi quel mestiere non lo fa. Mi era capitato anche con “Rincorse” (Einaudi, 1994) di sentire il desiderio e anche il compito di raccontare un mestiere dall’interno (là era quello di un laboratorio tecnologico informatico) poiché lo avevo conosciuto, lo avevo esperito.

 

 

 

3 Una cosa che personalmente ho notato e apprezzato in quest’opera è che sembra essere stata scritta di getto, con una grande spontaneità e genuinità, cosa ne pensa a riguardo?

È stata scritta di getto, in effetti (complimenti per averlo intuito). Siccome era una celebrazione mi sono automunito di una piccola ritualità, cioè quella di iniziare a scriverlo nel giorno del compleanno di mio padre (2 giugno) e di finirlo tassativamente il giorno della sua morte (24 luglio). Quindi l’ho scritto in meno di due mesi e praticamente è stata valida la prima stesura.

 

4 Un’altra cosa che si nota è un uso misurato delle descrizioni, fatte di pochi ma significativi dettagli. Questo a mio avviso stimola ulteriormente il lettore e allo stesso tempo fa sì che non cali l’adrenalina della lettura e che non ci siano pause narrative troppo dilatate, condivide?

Se è così che funziona il testo, ne sono felice. Poiché, appunto, l’ho scritto di getto, non ho pensato tanto a queste cose mentre lavoravo. Cioè non ho pensato prima alla struttura del testo, alla disposizione delle parti, agli equilibri tra azioni e descrizioni e così via. Tuttavia credo che se ne è uscito un testo piuttosto compatto, ciò sia anche dovuto al fatto che la stesura è stata veloce e senza ripensamenti.

 

5 Ho riscontrato nei suoi romanzi un elemento che sembra in qualche modo affine al Simenon “non giallista”: il riuscire a costruire una storia partendo da fatti o situazioni apparentemente ordinarie o non particolarmente eclatanti. Quali sono in questo senso le situazioni che le sono di maggiore ispirazione?

Sinceramente non so tanto rispondere a questa domanda, però posso ringraziare per l’accostamento a Simenon. Dipende dal libro che sto scrivendo. Mi pare che ognuno dei miei libri nasca in un posto tutto suo e percorra poi una sua strada specifica. Nel primo volevo parlare del fascino misterioso delle città, tipicamente di quelle industriali e postindustriali come la mia, che è Torino. Nel secondo volevo testimoniare l’esperienza lavorativa che dicevo prima, quella in un ambiente tecnologico formato da un team multidisciplinare: in particolar modo volevo raccontare un paradosso aziendale e italiano, cioè quello di un’attività sciolta dall’azienda poiché di ricerca e non immediatamente spendibile sul mercato. Nel terzo, che è un libro di racconti, ero affascinato dal fatto che la stessa nota (cioè un suono con una determinata frequenza) ha un timbro diverso se suonata da strumenti diversi (differisce per la forma dell’onda sonora, non per la frequenza). Nel quarto ho raccolto una decina di racconti sul calcio che mi erano stati commissionati da una testata giornalistica aggiungendone altri sullo stesso tema. E così via…

 

 

 

6 Lei ha alle spalle una lunga carriera di scrittura, qual è l’opera che per lei sarebbe ideale per approcciarsi alla sua proposta? E quale crede che non sia stata capita fino in fondo o che meriti di essere riscoperta?

Forse è proprio “Invernale” il testo che penso possa dare un’idea più complessiva del mio lavoro. “Primaverile” e soprattutto “Autunnale” (che ho pubblicato per conto mio e che pertanto solo formalmente non è inedito) credo che meritino una rilettura (nel caso del secondo, di una lettura!).

 

7 Oggi la comunicazione passa sempre più spesso attraverso i Social Network, qual è il suo rapporto con questa realtà?

Li frequento; li uso (probabilmente molto da boomer, cioè non sfruttandone le potenzialità recenti); stanno diventando una cosa che non so cosa sia.

 

8 Come ultima domanda una curiosità, tornando al suo ultimo romanzo. Il titolo in qualche modo richiama due opere precedenti, “Primaverile” e “Autunnale”, quali legami vede tra questi tre? Ci sarà spazio in futuro per un “Estivo”? Grazie di cuore per la sua disponibilità.

Grazie mille a voi!
Il legame c’è ed è progettuale: l’idea dei quattro libri “stagionali” l’ho avuta anni fa, volevo cimentarmi con quattro testi che racchiudessero, nel modo in cui sono costruiti, qualcosa dello spirito della stagione in questione. Dico “nel modo in cui sono costruiti” e non “per i temi che trattano”. L’idea, per gioco, ma anche per una sorta di tributo artistico al mio amato Vivaldi, è quella di usare il mio strumento (la lingua italiana) come lui ha usato gli archi e il basso continuo (qui spero che sia chiaro come la mia sia ammirazione e non supponenza!) per “imitare” le stagioni. Il nesso tra i vari testi è questo: ciascuno dentro di sé dovrebbe avere un suono, un profumo, un tono emotivo simili a quelli che ha la stagione richiamata nel titolo. Ma è durante la scrittura di “Invernale” che ho capito che “Invernale” sarebbe stato lui, vale a dire che non mi sono messo a pensare e a progettare il testo al fine di riempire quella casella. È venuto come doveva venire, per conto suo, ma in quella casella ci è andato poi a stare benissimo. L’estate io spero che arriverà, ma per adesso non ho in mente ancora nulla di preciso, solo vaghe idee sgangherate.

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

 

INVERNALE Dario Voltolini

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