Abbiamo intervistato Emanuela Fontana che ci ha parlato del suo ultimo romanzo “La Correttrice” e di tutto ciò che ruota attorno alla….

Abbiamo intervistato Emanuela Fontana che ci ha parlato approfonditamente del suo ultimo romanzo “La Correttrice” e di tutto ciò che ruota attorno alla narrativa manzoniana e non solo…

 

Intervista n. 211

 

Per prima cosa le chiederei di parlarci del suo romanzo “La correttrice” uscito lo scorso anno. Quanto è stato difficile raccogliere le fonti e il materiale per la realizzazione di un ‘opera così completa e affascinante?

Sono partita subito con uno scoglio da superare: negli archivi anagrafici di Firenze non esisteva nessuna Emilia Luti nata il 29 giugno del 1815, la data nota fino a questo momento. Ho avuto anche dei dubbi sul fatto che fosse fiorentina. Senza quel documento non potevo scrivere il romanzo. Ho deciso allora di sfidare la sorte e di ricominciare tutto da capo con il 1814: ho controllato di nuovo tutti gli elenchi dei nati nei sestieri di Firenze dell’anno precedente, e alla fine l’ho trovata: Luti Emilia, 29 giugno 1814. Il fatto che di questa donna fosse stata tramandata in modo sbagliato la data di nascita mi ha convinta ancora di più a scrivere un libro su di lei. Attraverso un lavoro familiare, svolto in collaborazione con i miei genitori, ci siamo immersi negli elenchi dei nati e dei morti di circa un trentennio per trovare tutti i familiari di Emilia, genitori e sorelle, fino ai nonni.

Non è stato facile nemmeno entrare nei meccanismi delle correzioni autografe di Manzoni ai Promessi Sposi. Poi pian piano ho imparato a conoscere meglio la sua calligrafia e i suoi tentennamenti e mi sono appassionata a quest’uomo dubbioso e meticoloso. La ricerca su Manzoni e la sua famiglia è stata più semplice, per quanto lunga, perché ci sono arrivate molte lettere sue e dei familiari. Preziosissimo è stato l’epistolario di Massimo D’Azeglio. Ho cercato di mantenere nelle conversazioni lo “stile”, la voce di ognuno di loro così come emergeva dalle lettere, senza interferire e senza dare giudizi.

 

 

 

Il personaggio storico di Emilia ci sorprende per la sua schiettezza, modernità ma anche per la forza con cui combatte i demoni del suo passato. Quale messaggio porta con sè una figura femminile di tale caratura?

Di Emilia mi ha fin da subito colpito il coraggio. Una donna che a quell’epoca (siamo nel 1838) cambia città senza famiglia e senza marito, e che si trova a entrare nella casa di un grande scrittore con il compito di correggere il suo romanzo (e anche la sua parlata) era dotata certamente di un carattere deciso e fuori dal comune. Io al posto di Emilia avrei corretto di meno, sarei stata più accondiscendente al cospetto di Alessandro Manzoni. Per me il suo coraggio è stata una lezione. Di Emilia mi ha affascinato anche l’umiltà: da quanto mi risulta, non ha mai rivendicato il suo ruolo, si è sempre tenuta dietro le quinte. Questa miscela di coraggio e di umiltà mi è piaciuta moltissimo, e credo che siano state proprio queste qualità a conquistare la simpatia e la stima di Manzoni, un uomo che non dava certo confidenza a tutti, per quanto fosse gentile con chiunque gli si parava davanti.

 

Emanuela Fontana

 

 

Emilia fa da “editor” a Manzoni e in qualche modo getta luce su una parte importante ma poco considerata mediaticamente nella realizzazione di un romanzo, condivide?

Sarebbe una domanda da porre a un editor, per come la vedo un bravo editor è un po’ come un bravo allenatore per un atleta. Dà la rotta, e qualche volta il ritmo, rassicura. Spesso l’editor deve essere psicologo, certamente è un lavoro di poca visibilità e che non è per tutti. Scrivere un libro è come avviarsi a nuoto tra le burrasche verso la costa di fronte, che dista miglia e miglia dalla propria, una costa che spesso non si vede a occhio nudo. Dagli scambi di biglietti e lettere con Manzoni ho notato che Emilia aveva anche questo ruolo, di colei che affianca e rassicura, che offre soluzioni. Normalmente l’editing avviene su due livelli, strutturale e linguistico. Manzoni aveva risolto il primo, per l’edizione del ‘27, con gli amici più cari. La revisione strettamente linguistica, per lui fondamentale e che doveva essere il vero tesoro dell’edizione del ‘40-’42, aveva bisogno di nuove figure. Manzoni voleva modificare e ristampare il suo romanzo con una lingua che fosse libera da provincialismi o da termini troppo aulici, vicina al parlato ma non gergale, “d’uso”, come amava chiamarla, una lingua che diventasse “comune” ancor prima che l’Italia fosse unita, e l’aveva identificata nel fiorentino parlato ai suoi tempi. Aveva avuto anche preziosi confronti con uomini colti durante il suo viaggio a Firenze del ‘27 (Cioni e Nicolini su tutti) ma aveva bisogno di una lingua più vicina al popolo e di una persona più disponibile di loro, più dedicata. Avere l’editor in casa, come è successo a Manzoni con Emilia, una suggeritrice-correttrice in cui si ripone fiducia e stima e che dorme al piano di sotto, è davvero invidiabile. Ovviamente questo ruolo non era ancora stato identificato in un mestiere.

 

 

 

Come ha detto anche lei nella nota conclusiva questo romanzo non ha la pretesa della ricostruzione storica precisa eppure si nota un notevole accuratezza. Quale può essere il contributo di questo genere letterario nel favorire la conoscenza e la divulgazione?

Se un genitore dicesse a un figlio quindicenne: ti ho fatto un bel regalo, un libro sulla “questione della lingua”, credo che il ragazzo riderebbe o lancerebbe il libro dalla finestra. Mentre scrivevo mi vedevo sempre davanti un ragazzo o una ragazza di quell’età. Ho scritto questo libro principalmente per curiosità e per stupore, perché volevo raccontare una storia inspiegabilmente sconosciuta a me e a molti e far comprendere l’abnegazione e il coraggio di Manzoni nel voler correggere il suo romanzo da capo a piedi per trovare una lingua comune, un aspetto che a mio avviso non arriva a sufficienza, né a scuola né dopo. Quando ho letto in un saggio di fine Ottocento che uno dei crucci del Manzoni anziano era proprio il fatto che nelle scuole non venissero mai prese in considerazione le edizioni raffrontate del suo romanzo (lo diceva con umiltà, ma era un dispiacere) ossia proprio lo sforzo linguistico che per lui era l’obbiettivo ultimo del suo lavoro, ho capito che andare in quella direzione poteva essere un contributo importante. Gli occhi di Emilia erano il punto di vista giusto per rendere più comprensibile qualcosa che a mio avviso non era mai stato troppo valorizzato. Preferire il romanzo al saggio è stata una scelta precisa proprio per questo motivo: conoscendo questa storia mi sono commossa e volevo trasmettere questa commozione.

Ho cercato di mettere in questo lavoro passione e disciplina, perché avevo un maestro in diretta, Alessandro Manzoni, di cui studiavo, attraverso le correzioni, pazienza e perseveranza. Ho provato in qualche modo a imitare la sua attitudine ad arrivare a tutti e ho lavorato sulle fonti con scrupolo come aveva fatto lui.

 

“I Promessi Sposi” è un’opera che insieme alla “Divina Commedia” , supera i confini della letteratura e fa parte integrante della nostra cultura e del nostro folclore. Qual è secondo lei la qualità più importante di questo romanzo e più in generale di Manzoni?

Rispondo subito: l’onestà. Spiegavo prima che ho avuto il privilegio di imparare da Manzoni mentre scrivevo e l’onestà è il tratto che di lui mi è arrivato più forte, sia dalle lettere che dal romanzo. Ho avuto l’impressione, tutte le volte che ho letto I Promessi Sposi, che ogni riga fosse frutto di un profondo amore per i personaggi e che grondasse lacrime e sangue. Manzoni non condanna nessuno, come se in fondo parlasse sempre di se stesso, mettendosi a nudo anche negli errori. Allo stesso modo entra a tal punto nella storia da anticipare meccanismi sociali che sono attualissimi anche ora. Questo è solo dei geni. Oltre all’onestà aggiungo: la capacità di lasciare un patrimonio. Sia Dante che Manzoni hanno costruito una lingua e un genere, oltre che una storia. Quando nello sport o nella scienza qualcuno inventa un movimento o una formula che prima non esisteva, può capitare che la novità venga codificata a livello internazionale e che l’invenzione prenda il nome di chi l’ha creata. Credo che in qualsiasi settore chi dà un codice, ossia chi estende i confini del sapere, supera un limite, debba essere studiato, apprezzato e stimato come modello. Chi sfida i limiti lascia sempre un patrimonio. Manzoni lo ha fatto sia per la questione della lingua comune, sia per il genere del romanzo storico italiano. Il suo libro è un modello e un patrimonio. Non vedrei niente di scandaloso se in Grecia i ragazzi a scuola studiassero per un anno intero il Partenone all’interno dell’insegnamento di arte o disegno tecnico.

 

 

 

Una curiosità. Quest’anno è uscito a firma di Ben Pastor un curioso e affascinante romanzo, “La fossa dei lupi“, che rappresenta una sorta di “sequel” del romanzo manzoniano, ha avuto modo di leggerlo? Che ne pensa di operazioni del genere?

Non ho ancora letto questo libro, ora sono concentrata sui nuovi lavori, comunque la trama mi incuriosisce molto. Qualsiasi prodotto artistico nasca da una forte e onesta esigenza dell’autore, esigenza di conoscenza, di condivisione, esigenza del cuore, dell’intelletto, necessità di comunicare o sperimentare, insomma da quella spinta che tutti gli artisti conoscono, ha la mia profonda stima. Nessun argomento o personaggio storico è intoccabile, a patto che dietro ci sia una scrupolosa ricerca e non un desiderio di storia “a effetto”, tantopiù che Manzoni è l’inventore del romanzo storico e I promessi sposi finiscono con alcune domande, per quanto a ogni lettura mi abbiano sempre lasciato addosso un senso di pace e di un cerchio che si chiude.

 

Il suo precedente romanzo aveva per protagonista Antonio Vivaldi, che ricordi ha di quella esperienza? E cosa le ha lasciato il lavoro attorno a figure storiche così importanti per la nostra cultura?

Il mio grande amore, artisticamente parlando, è Antonio Vivaldi. Non ho mai superato la scrittura di quel libro, ci penso continuamente. Forse perché era il primo romanzo storico, perché per scriverlo mi sono rinchiusa in una lunga solitudine veneziana. L’ho anche sottoposto a risciacquatura e limatura per un’eventuale nuova edizione che spero arriverà perché non ero soddisfatta. Ogni tanto penso che sia un po’ preoccupante che io abbia affrontato due mostri sacri. Mi sono spesso chiesta se fosse presunzione o incoscienza, un’attitudine a mettersi sempre alla prova con percorsi rischiosi. In realtà in entrambi i casi ho sentito una spinta fortissima, talmente forte da aver sacrificato pezzi di vita. Se mi fossi seduta a un tavolino con un ragionamento lucido non sarei andata oltre pagina venti. Mi sono avventurata nella vita di Vivaldi una notte al pronto soccorso attaccata all’ossigeno: non respiravo come lui (Vivaldi soffriva di asma). La storia di Emilia mi è caduta in testa mentre studiavo un manuale universitario per iscrivermi alle graduatorie scolastiche dei supplenti e non avevo idea che ne 2023 ci sarebbe stato l’anniversario della morte di Manzoni, perché in quel momento non pensavo a Manzoni, né a un libro su di lui o su una donna dimenticata dalla storia. Eravamo in pieno Covid. Vivaldi, Manzoni e Emilia Luti mi hanno insegnato che le fragilità possono portare capolavori, e che non dobbiamo mai credere di sapere tutto, di una persona, di un argomento, di un autore, ma bisogna sempre ricominciare da capo come un bambino che deve imparare ogni cosa da zero. Mi hanno insegnato lo stupore.

 

 

Viviamo in un’epoca in cui la comunicazione passa sempre più attraverso i Social? Qual è il suo rapporto con questa realtà?

Mi piace tutto ciò che mi serve per imparare e imparo anche dai social. Mi diverto. Seguo i dibattiti per capire come ragionano i singoli, i gruppi, le comunità. Raramente esprimo opinioni perché non credo che interessi a qualcuno e perché prima di esprimere un’ opinione dovrei studiare l’argomento per giorni, settimane e mesi. Spesso non esiste una verità, e non amo leggere sentenze di verità in alcuni dibattiti in cui manca approfondimento.

 

Un ultima domanda, ringraziandola per la sua disponibilità. Dopo Manzoni e Vivaldi c’è qualche altro personaggio storico-cutlurale che le piacerebbe approfondire?

La mia curiosità è attirata da moltissimi personaggi storici ma non ne parlo perché più passa il tempo e più capisco che la scrittura è una questione tra me e me, almeno durante la prima stesura. Posso dire che sarebbe stato facile andare avanti con l’Ottocento e invece mi sono catapultata in tutt’altra epoca storica, piuttosto lontana. Sempre per l’incoscienza di cui parlavo. Se ne avrò la possibilità vorrei comunque atterrare anche nel presente, prima o poi.

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

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