Abbiamo intervistato Gianluca Morozzi e parlato della sua vasta produzione letteraria, partendo dagli ultimi romanzi

Abbiamo intervistato Gianluca Morozzi e parlato della sua vasta produzione letteraria, partendo dagli ultimi romanzi “A Bologna con Andrea Pazienza” e “Che fine ha fatto la neve?”

 

Intervista n. 231

 

Gianluca Morozzi

 

Prima di tutto le chiederei di parlarci di “Che fine ha fatto la neve?”

“Che fine ha fatto la Neve?” è una trilogia in un solo volume, che racchiude i romanzi “Prisma”, “Picco Scuro”, “Neve in cantina”. Il protagonista è Vilo Vulcano, un elegante e poco abbiente libraio che nella sua libreria, La boutique del mistero, ha ricavato la propria casa (gli affitti a Bologna sono costosi) nonché l’ufficio per il suo secondo lavoro, il detective privato. Non ha alcun metodo investigativo se non farsi ispirare da vecchi episodi di Star Trek, per cui si fa pagare poco. La trilogia ha una trama orizzontale e tre trame verticali, un’indagine per romanzo: la morte di un aspirante Houdini che sembra un gioco di escapologia finito male ma non lo è, la sparizione di varie ragazze in un paesino tra le montagne che sembra Twin Peaks sull’appennino, e poi una donna dallo strano passato che vuol far luce sullo strano suicidio dell’ex marito. La trama orizzontale è la scomparsa di una bambina, la piccola Neve, svanita da un condominio di periferia nel 1978 in modo inspiegabile.

 

 

L’opera ha una struttura complessa e una trama articolata, quanto tempo c’è voluto per maturare un romanzo del genere?

In verità avevo concepito i tre romanzi per tre uscite separate, tanto che il primo (“Prisma”) era stato pubblicato in modo autonomo nel 2020. Poi c’è stata una diversa scelta editoriale, ma diciamo che i tre libri sono stati scritti nell’arco di tre anni: il primo durante il lockdown (avevo molto tempo libero per scrivere), il terzo nell’autunno 2023.

 

Nel corso della lettura troviamo personaggi presenti in altri suoi romanzi, una cosa che mi ha sempre fatto impazzire in altri autori, uno su tutto Stephen King. Se la sentirebbe di dire di aver creato un proprio micromondo dove far interagire al bisogno le sue creazioni?

Proprio Stephen King (e più tardi Irvine Welsh) mi ha fatto capire che questa pratica, che è abituale nei fumetti Marvel e DC, si poteva fare anche nei romanzi: ricordo l’incredibile sorpresa nel ritrovare Randall Flagg de L’ombra dello scorpione nel ciclo della Torre Nera. Welsh ha usato i personaggi di “Trainspotting” e di “Colla”, insieme o singolarmente, in parecchi romanzi. E così in “Che fine ha fatto la Neve?” troverete quasi tutto il cast de “L’era del porco”, il mio romanzo del 2005 (in particolare l’Orrido e la Betty, in versione di aiutante e di seconda cliente di Vilo), ci sarà un’apparizione dei Despero, dal mio romanzo d’esordio, il Corvo da “L’abisso”, e un paio di collegamenti con “Il libraio innamorato” e soprattutto “Dracula ed io”. Ai lettori sembrano piacere queste apparizioni, come piacerebbero a me in veste di lettore.

 

Sempre in quest’anno è uscito “A Bologna con Andrea Pazienza”, con un riferimento al celebre disegnatore. Quali sono le caratteristiche di quest’opera?

L’editore (Giulio Perrone) mi ha chiesto di scrivere un volume per la collana Passaggi di dogana, che esplora i rapporti tra un artista e una città (Joyce e Dublino, Kurt Cobain e Seattle, Maurizio de Giovanni e Napoli, etc.). Io l’ho fatto a modo mio, o meglio, ho raccontato la Bologna di Pazienza un po’ come Pazienza aveva raccontato il Brasile in una storia del 1988, cioè in chiave narrativa e divertente, pur rispettando la natura di guida alla città che è propria della collana.

 

 

Una cosa che mi ha sorpreso della vita di Andrea Pazienza è che creò un personaggio satirico ispirato a Sandro Pertini (Pert) e per questo fu pubblicamente elogiato dal Presidente stesso, una cosa che ai giorni nostri sembra quasi fantascientifica. C’è stato secondo lei negli anni un modo diverso di fare ironia e satira o una maggiore permalosità da parte del mondo politico?

Pertini in quelle storie divertentissime veniva trattato come un vero eroe, un partigiano, playboy, con un lato infantile, sempre avversato nelle proprie imprese dal suo luogosergente, il maldestro Paz. Ma Pertini è anche protagonista di una bellissima storia lunga in cui analizza l’Italia di quegli anni e le sue storture. Con molto meno affetto Pazienza ha raccontato personaggi come Craxi, Andreotti, Cossiga, anche il Papa…se qualcuno se ne offendeva, lui se ne curava pochissimo, direi, e faceva tutto quel che gli pareva.

 

La sua produzione letteraria è estremamente vasta e variegata, quanto è importante per lei non cristallizzarsi su un genere solo ma spaziare il più possibile? E quali sono i suoi autori di riferimento?

Parto dalla seconda domanda che risponde anche alla prima: Andrea Pazienza. Che ha spaziato in ogni genere, cambiando modo di disegnare o di scrivere a seconda di quel che andava a raccontare. Pippo sballato e Pompeo, Zanardi e Penthotal sono dello stesso autore…ma se uno non lo sapesse non direbbe mai che la stessa mano e la stessa mente hanno concepito Astarte e la storia breve Guilty feeling. Io ho provato a fare quel che ha fatto lui, almeno in senso eclettico: il mio quinto romanzo, “Blackout”, un tragico thriller claustrofobico, ha avuto un discreto successo nel 2004…ma anziché scrivere Blackout 2 ho preferito buttarmi sull’umorismo con “L’era del porco”. Per me è sempre stato naturale alternare drammi atroci come “Andromeda” o “Gli annientatori” con romanzi divertenti come “Tecla tre volte” o “Bob Dylan spiegato a una fan di Madonna e dei Queen”. Negli ultimi anni ho provato a unire le mie due anime, in particolare in “Dracula ed io” e “Che fine ha fatto la Neve?”, un po’ come faceva un altro mio riferimento: Peter David, sceneggiatore di fumetti, autore della più celebrata run di Hulk di sempre (ma non solo), che sapeva alternare con maestria umorismo e dramma.

 

 

Quale opera consiglierebbe a chi vuole avventurarsi nel suo mondo narrativo?

Forse proprio “Che fine ha fatto la Neve?”, per quel che ho appena detto: trova tutto il mio lato drammatico, ma anche tutto quello comico.

Una cosa di cui sono sempre convinto è che sia i fumetti e certe canzoni abbiano tutto il diritto di essere considerati narrativa/letteratura, condivide?

Sì, che i libri siano per forza superiori a fumetti o canzoni è una palese sciocchezza. Tutti noi abbiamo in mente certi libri scritti con i piedi, spazzatura letteraria vera e propria anche se magari vendutissima: sono superiori a L’Eternauta, a Pompeo, a From Hell? Sono superiori a Like a Rolling Stone, a Tommy degli Who, a Storia di un impiegato?

Qual è il suo rapporto con una realtà estremamente complessa e ricca di spunti ma anche di piazze di scontro come i Social?

Ho un rapporto sano. Cerco di non finire mai in mezzo alle polemiche, anche perché so benissimo che certi commenti sono fuorvianti rispetto alla personalità della persona che li ha scritti. Ogni tanto commetto un errore terribile: scrivo un post di calcio, in genere quando il Bologna vince. E poi mi mordo le mani, perché dopo sette-otto commenti, per motivi misteriosi, il mio post su, diciamo, Bologna-Lecce 1-0 genera litigi e ripicche tra juventini e interisti o tra tifosi bolognesi ottimisti e tifosi bolognesi pessimisti. Per il resto, li uso bene.

Un’ultima domanda, ringraziandola per la disponibilità. Nei suoi romanzi compare spesso la sua città, Bologna. Quali sono le caratteristiche ancora da scoprire di questa città, a suo avviso?

Il bolognese medio vi dirà la frase tormentone “Ma Bologna non è più quella di una volta”, banalità alla quale ha risposto benissimo il mio concittadino Enrico Brizzi: “E tu sei quello di una volta?”

Venite in giro per Bologna con me, e le caratteristiche da scoprire le scoprirete tutte.

 

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