Abbiamo intervistato la scrittrice ligure Valeria Corciolani con la quale abbiamo ripercorso il suo itinerario narrativo

Abbiamo intervistato la scrittrice ligure Valeria Corciolani con la quale abbiamo ripercorso il suo itinerario narrativo, i suoi personaggi principali e condiviso alcune interessanti riflessioni che vanno oltre la dimensione narrativa.

-Per cominciare parliamo del suo ultimo romanzo, “La regina dei colori”, un’opera per me molto bella che si stacca dalla sua produzione giallistica. Con quali parole la presenterebbe?

 

Grazie Enrico, essere qui su Il Passaparola dei Libri, è davvero un’emozione. Io credo che, seppur sottotraccia, la mia vera passione un po’ abbia sempre fatto capolino anche nei gialli: osservare, ascoltare e “respirare” l’umanità in tutte le sue luci, ombre e sfumature è ciò che amo raccontare e mi affascina di più.  In quest’ultimo romanzo mi sono affrancata dalla trama gialla, che spesso si rivelava quasi un pretesto, per saltare dentro alle “vite” con tutti i piedi, senza scuse o paraventi, scoprendo che alla fine sempre di indagine si tratta: nei sentimenti, nelle scelte, negli universi di ciascuno… ed è stato bellissimo.

 

 

 

-Clotilde, la protagonista, ha perso la cosa a cui teneva di più, i colori, e nel corso del romanzo impara a convivere e ad apprezzare dettagli a cui non presta attenzione. Mi verrebbe di accostarle la citazione di “Nuovo cinema Paradiso” “Ora che ho perso la vista ci vedo di più”, condivide?

Condivido in pieno! Ne “La regina dei colori” tutto ha inizio da un ritorno, quello di Clotilde Podestà, acclamata star internazionale dell’interior design che di colpo, dopo aver trascorso i suoi primi sessant’anni di vita a duettare con gradazioni e cromatismi, per quello che i medici chiamano acromatopsia da trauma perde completamente la visione dei colori e si trova catapultata in un universo fatto solo di bianchi, neri e sfumature di grigio che, come assicura lei, sono più di cinquanta. Quindi un ritorno alla città natale dopo anni di assenza e dove Clotilde irrompe (forse sarebbe meglio dire deflagra!) nella vita delle sorelle e della sua famiglia, scompaginando equilibri veri o presunti, quasi che Clotilde, dopo essere stata distratta per una vita dai colori, solo ora iniziasse a “vedere” veramente e con una prospettiva del tutto diversa, mettendo ciascuno di fronte alle proprie scelte e al proprio destino. Quindi sì, l’assenza di colori in questo romanzo diventa una sorta di metafora e anche un grimaldello per inoltrarsi in quel territorio infido e sfuggente che è “l’altro”.

 

Valeria Corciolani

 

-Tutti i personaggi di questo romanzo sembrano mancare di qualcosa o si portano dietro delle ferite mai rimarginate, al punto che si fa fatica a individuare un unico protagonista. Possiamo vedere in questo lavoro u grande romanzo di formazione corale?

Direi proprio di sì! È stata individuata Clotilde come protagonista solo in virtù del fatto che, in questo suo ritorno, porta a galla ferite, fragilità e soprattutto quel “non detto”, che a volte è capace di creare fratture capaci di diventare vere e proprie faglie all’interno dei rapporti, per poi rileggere tutto attraverso “la prospettiva” dei numerosi personaggi che vivono tra le pagine. Il tutto sempre condito da una buona dose di ironia, perché l’ironia è quella cosa che ti spinge a buttarla sul ridere, anziché buttarti giù. Sempre e comunque vada, permettendomi di trattare anche di fatti e situazioni ad “alto peso specifico”, ma con lievità. Insomma, non bisogna mai dimenticarsi l’importanza immensa di saper sorridere (e perché no, anche ridere!) di noi stessi, è un po’ come la mia impronta digitale-scritta e non riuscirei mai a farne a meno. E poi a prendersi troppo sul serio diventa tutto di una noia mortale, o no?

 

-Una frase centrale nel libro e che colpisce per la sua potenza è senza dubbio “Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di vedere le cose anche dal suo punto di vista”. Uscendo dall’ambito del romanzo quanto incide questa frase sulla nostra attualità e quanto e difficile applicarla?

È una frase antica quanto il mondo e la dice lunga su quanto ancora sia difficile applicarla, eppure renderebbe tutto così facile…

 

 

 

-Anche nei suoi romanzi gialli abbiamo due protagoniste/detective non convenzionale come Edna Silvera e Alma Boero. Con quali aggettivi le identificherebbe?

 

Edna è la mia meta, ciò a cui aspiro (e ora, dopo numerose presentazioni e incontri con i lettori, posso affermare con cognizione di causa che è un desiderio così ampiamente condiviso da far quasi impressione!), perché Edna da sempre è affrancata dal desiderio di piacere o di essere benvoluta, cosa che le lascia la meravigliosa libertà di dire quasi sempre ciò che pensa. Anzi, togliamo pure il quasi, lo dice e basta. Sia con sua madre Zara, che disperde più badanti che starnuti, sia sul lavoro.

Edna e Alma hanno in comune la capacità di osservare, entrambe hanno a che fare con un lavoro che affila loro lo sguardo, la colf Alma ogni giorno entra nelle pieghe dei micro universi che sistema e pulisce, occupazione che la porta inevitabilmente a scoprire “cose” e a volte vedere e cogliere più di quanto vorrebbe. Edna è una restauratrice e storica dell’arte, quindi una vita trascorsa a prestare attenzione ai dettagli: la scelta di un colore al posto di un altro, pennellate, simboli, segni… elementi di quella “grammatica” dell’arte capace di svelare ciò che sta oltre l’ovvio e il visibile. Per dire che quel tipo di “sguardo” ormai è intessuto nel DNA di entrambe.

Poi vabbè, Edna è una mina vagante, impulsiva e instabile, come avere a che fare con un elegante baccarat colmo di nitroglicerina: basta un niente che deflagri l’apocalisse. Alma invece è l’equilibrio, il perno su cui ruotano Jules Rosset, suocera e figli, è il granitico contrappeso a bilanciare i marosi della vita. Diverse per età ed esperienze di vita: una è la madre single di quattro figli, l’altra dal punto di vista bebè ha avuto a che fare solo con i Bambin Gesù dei dipinti che ha studiato e ripulito, e abituata quindi a fare i conti solo con sé stessa… gli opposti, insomma.

In cosa si somigliano? Sono due donne. Ciascuna con il proprio bagaglio, faticoso o sereno che sia, ma unite dalla stessa fierezza e dal comune desiderio di essere fedeli a se stesse. Be’ sì, anche di andare in fondo alle cose con una buona dose di pervicacia.

Valeria Corciolani

 

 

 

-Trovo che per le professioni che svolgono entrambe siano persone attente ai minimi dettagli e questo può essere il punto di forza della loro capacità investigativa, condivide?

Osservare. Sempre. Tanto. Tutto. Quando vado a parlare nelle scuole cito sempre un aneddoto che ha per protagonista Alfred Hitchcock (aneddoto che ho ritrovato, con enorme soddisfazione, anche in uno dei romanzi di Manzini):

“Roma, scuola di sceneggiatura, tutti che non stanno nella pelle per il privilegio di avere nientepoppodimenoché Alfred Hitchcock a parlare di come si inventa una trama gialla. Lui entra, li guarda e dice: «Per scrivere la sceneggiatura di un giallo sono necessarie due cose: spirito di osservazione e buona cultura». Poi con la mano tira il bavero della giacca a coprire il collo e domanda: «Di che colore è la mia cravatta?»

Silenzio totale.

«Bene» annuisce lui, «mi auguro che abbiate una buona cultura»

Si alza E SE NE VA.”

Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro.

 

 

 

 

Parliamo di attenzione ai dettagli quando oggi imperversano i Social Network e un approccio alle cose spesso approssimativo e superficiale. Qual è il suo rapporto con questa realtà?

Già, questa scellerata attitudine a “scivolare” sulle cose senza provare a infilarci dentro la testa, eppure il più delle volte basterebbero solo pochi minuti. A rovinarci è la fretta, in tutto e così ci perdiamo interi pezzi di vita e senza neppure rendercene conto.

Le chiedo un’ultima cosa. Nei suoi romanzi troviamo figure femminili di spessore e di carattere. Quanto può e deve contribuire la narrativa contemporanea nel mutare l’atteggiamento della società nei confronti della “Dimensione Donna”?

La narrativa contemporanea non solo può, ma DEVE contribuire, insieme al giornalismo, la musica, il cinema, il teatro, la televisione…Nominare la realtà aiuta a renderla visibile. Ovviamente le cose esistono anche quando non hanno un nome, ma nel momento in cui qualcosa viene definito con un proprio nome, ecco che possiamo parlarne, disquisirne, discuterne. Perché, come ribadiva anche Nanni Moretti in Palombella rossa, “Le parole sono importanti”. 

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

redazione@unlibrotiralaltroovveroilpassaparoladeilibri.it

 

 

LA REGINA DEI COLORI Valeria Corciolani

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DI ROSSO E DI LUCE  – Valeria Corciolani

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