Abbiamo intervistato Laura Forti che ci ha parlato del suo ultimo libro “La figlia inutile” e di alcuni aspetti della sua produzione letteraria
Intervista n. 203
Come prima domanda le chiedo di presentarci il suo ultimo romanzo “La figlia inutile”
Da dove le è venuta l’ispirazione per realizzare quest’opera?
Trovo che in quest’opera convergano tanti elementi diversi, dal romanzo storico a quello di formazione passando per la saga familiare, si ritrova in questa osservazione
Ho sempre pensato che il romanzo storico abbia un grande valore non solo narrativo perché consente di dare una sorta di “profondità” agli eventi più o meno noti della nostra Storia, condivide?
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Un elemento ricorrente nella sua narrativa è quello della memoria. Quanto è difficile custodirla e trasmetterla e soprattutto tenerla a riparo dalle manipolazioni mediatiche?
La memoria come ho detto ha bisogno di una concreta base storica: bisogna studiare i fatti con accuratezza, possibilmente sui libri e non su internet. Conoscere come sono andati i fatti, contestualizzare. Questo è un dovere civile non solo per chi scrive, per tutti. Poi ovviamente ci stiamo allontanando sempre più da quei fatti, parlo ad esempio della Shoah, del periodo del fascismo e delle persecuzioni. I testimoni ci stanno lasciando e si apre la domanda: chi porterà questa memoria? La risposta che posso dare è: noi. Come? Studiando, conoscendo e poi provando a fare uno sforzo di immaginazione, di empatia, provando a entrare nelle scarpe dei personaggi, delle vittime come dei carnefici per sentire. Sentire, una parola che spaventa la nostra società perché è associata al dolore. Ma come dice Antonio Damasio i sentimenti sono un aiuto per la lotta alla sopravvivenza e aiutano le società ad evolversi. Riappropriarci di una memoria emotiva, sensoriale, provare “a essere lì” con il corpo, ricostruire relazioni interpersonali è il migliore antidoto all’oblio della memoria e della nostra umanità.
Un altro elemento che troviamo spesso è quello della famiglia e del vissuto dei suoi componenti. È così difficile comunicare all’interno del nucleo domestico e condividere le proprie ferite? In che misura crede che questa trasparenza potrebbe migliorare i rapporti intrafamiliari e con il mondo esterno?
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Lei è una drammaturga e ha realizzato per “L’acrobata” un adattamento teatrale, le chiedo quanto è forte la dimensione del teatro per veicolare certi messaggi?
Quali sono le sfide e le difficoltà nel portare avanti una forma artistica tanto grande quanto il teatro cercando di catturare l’attenzione delle giovani generazioni?
Come ultima domanda, ringraziandola per la disponibilità, le chiedo che rapporto ha con la dimensione dei Social, sempre più una realtà di condivisione ma anche di giudizi talvolta feroci.
Soprattutto in questo periodo di guerre, i social sono un terreno minato. Ormai tutti siamo costretti a usarli per lavoro ma bisogna fare attenzione soprattutto se si danno notizie. Spesso ormai i bloggers si spacciano per giornalisti, esiste proprio un giornalismo da social, e non sempre informazioni e immagini sono usate in modo serio. Questo è un grande rischio, perché si crea una specie di macchina del fango da cui poi è difficile prendere le distanze. Quindi, va bene usare i social ma sempre verificare le fonti con controlli incrociati, e confrontando testate. E’ proprio quello che dicevamo: senza una valida conoscenza della storia, dei fatti, non si riesca e creare coscienza, etica, memoria e si resta in una fase primitiva e pulsionale, spesso incline all’odio.
Intervista di Enrico Spinelli
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