Abbiamo intervistato Lisa Laffi e parlato de “La morte dipinta” e non solo
Intervista n. 239
Per cominciare le chiederei di presentarci “La morte dipinta“, un romanzo dove il giallo si intreccia con l’arte.
“La morte dipinta” è un thriller che ha due protagoniste: Artemisia Gentileschi, omonima della famosa pittrice seicentesca e direttrice del Museo Poldi Pezzoli, e l’arte. Il killer, infatti, uccide uomini e donne e li utilizza come macabri burattini per raffigurare, a modo suo, famosi quadri di Botticelli, Caravaggio e altri grandi artisti.
Il romanzo porta a esplorare la connessione tra creatività e follia e sfiora temi come l’ossessione, l’identità e il valore della bellezza. L’idea è che il lettore cerchi la soluzione e l’identità del killer, ma si interroghi anche sulla natura umana.
In questo romanzo l’assassino realizza con le sue vittime una sorta di replica delle opere d’arte. In generale capita spesso che figure legate alla malavita siano attratte o legate al mondo dell’arte, qual è secondo lei il motivo di questo legame?
Il legame malavita e arte è molto più stretto di quanto si possa ipotizzare, è un intreccio di interessi che vale miliardi di euro: quello dell’arte è il terzo mercato più redditizio del crimine organizzato internazionale dopo droga e frodi internazionali. L’Italia è il primo paese al mondo per furti d’arte. Si registrano ventimila furti l’anno, sessanta al giorno.
In pochi sanno che Matteo Messina Denaro ordinò di rubare il Satiro Danzante, statua bronzea originale dell’arte greca di epoca ellenistica di valore inestimabile. L’impresa criminale fortunatamente fallì a causa dell’arresto di due boss che avrebbero dovuto realizzarla, i fratelli Giacomo e Tommaso Amato.
Contro la malavita si batte il Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri nel proprio database include oltre un milione di oggetti di valore artistico da ritrovare.
Come descriverebbe la figura di Artemisia Gentileschi?
Artemisia Gentileschi è figlia di un professore universitario di storia dell’arte dell’Università di Philadelphia e dal suo nome traspaiono sia le origini italiane della famiglia sia il grande amore del padre per la grande pittrice seicentesca. Si tratta, però, di un nome non facile da portare…
Chi leggerà con attenzione il romanzo vedrà un parallelismo tra le due donne che hanno in comune l’amore per la pittura, il talento in campo artistico e delle cicatrici dovute a fatti tragici delle loro vite, ma anche tra i due padri che sono personaggi fondamentali nelle loro esistenze.
Volevo che l’Artemisia del 2024 fosse un personaggio solo apparentemente perfetto, ma in realtà segnato dalla vita e, per questo, estremamente fragile e imperfetto.
Cosa l’ha spinta a cimentarsi con un genere se vogliamo più distante dalla dimensione storica e quali sono state le sue ispirazioni in tale senso?
Ho scritto “La morte dipinta” nel 2016 per mettere alla prova me stessa. Avevo appena pubblicato il mio primo romanzo storico e volevo uscire dalla mia comfort zone. Sono quindi passata dal romanzo storico al thriller, mantenendo un solo elemento in comune: volevo che, accanto ai due protagonisti in carne ed ossa, ci fosse l’arte come co-protagonista. Ne “La dama dei gelsomini”, mio primo romanzo, c’erano soprattutto i quadri di Leonardo, mentre con “La morte dipinta” si fa un vero viaggio attraverso l’arte del 1400, 1500 e 1600, passando da Botticelli a Caravaggio. Solo attraverso l’analisi attenta delle opere si può avere la chiave per risolvere il giallo che è alla base del romanzo.
Parlando dei suoi romanzi storici ho notato che se c’è un elemento che li accomuna è la presenza di protagoniste femminili che compiono un personale percorso di formazione, condivide?
Sì, sono d’accordo. Mi piace sondare l’animo dei vari personaggi e mostrare come cambiano a seconda di ciò che trovano sul loro cammino. E’ quello che succede ad ognuno di noi in maniera più o meno consapevole. E questo a prescindere dall’epoca storica.
E’ una dinamica che applico ad Artemisia e ai personaggi de “La morte dipinta”, ma anche a Caterina Sforza, Margherita d’Asburgo e agli uomini e alle donne che popolano i miei romanzi storici. Il mio auspicio è che, così facendo, i lettori li possano trovare più vivi e vicini, perché a volte i libri di storia danno loro un’immagine troppo ideale e lontana.
Personalmente ritengo che il romanzo storico abbia il merito di far conoscere al lettore eventi e periodi storici più o meno noti creando grazie all’elemento “romanzo” una maggiore immedesimazione, cosa pensa al riguardo?
Concordo. Spesso invito i miei studenti a scegliere un personaggio del libro che stanno leggendo e a immedesimarsi per farsi maggiormente catturare dalla storia. Non importa che sia maschio o femmina, che viva nel 2024 o nel 1524. Come diceva Umberto Eco, la magia della lettura è che ti permette di vivere mille vite invece di una sola. Io spero con tutto il cuore che questo possa accadere anche a chi legge i miei romanzi storici.
Come dicevo prima le sue protagoniste spiccano per identità e modernità, in un periodo come questo dove tanti stereotipi sono ancora presenti che contributo crede possa dare la narrativa nella sensibilizzazione verso temi così importanti?
Spero che questo romanzo possa far capire alle persone che la bellezza non è quell’ideale di perfezione a cui i social, le serie e la televisione ci hanno abituato. Nemmeno Botticelli metteva su tela una bellezza ideale. Se guardiamo “La nascita di Venere” con attenzione, vediamo il collo e un braccio molto lunghi, due dettagli che sono fondamentali per dare un’idea di delicatezza e fragilità alla donna ritratta.
Questa bellezza imperfetta, ma tanto più vera e convincente, è quella che cerco di far passare ogni giorno ai miei studenti e alle mie studentesse che vedo sempre più simili gli uni agli altri e, in qualche modo, stereotipati.
Quale messaggio e/o insegnamento crede che possano trasmettere le sue protagoniste soprattutto alle nuove generazioni?
Più d’uno. Il denominatore comune di Bianca Riario, Margherita d’Asburgo e Costanza Calenda è che la cultura è fondamentale. Da molti erano ritenute mere pedine, ma loro hanno dimostrato che attraverso l’amore per le lettere, l’arte e la medicina potevano essere padrone del loro destino. Artemisia Gentileschi insegna alle ragazze ad accettarsi per quello che si è, con le ferite che la vita ci porta in dote, ma invita a ergersi e di andare oltre l’apparenza.
E’ poi il messaggio che dà anche la copertina de “La morte dipinta”. Molti, ad una prima occhiata, pensano raffiguri la famosa Gioconda di Leonardo. In realtà, è la cosiddetta “Monna Lisa del Prado” e a me piace molto il messaggio implicito che passa: nulla è come sembra, nella vita è importante andare in profondità nelle cose.
Un’ultima domanda, parlando sempre delle nuove generazioni: si sa che la principale piattaforma di confronto/scontro siano i Social, qual è il suo rapporto con questa realtà?
I Social, come tutte le nuove tecnologie, hanno risvolti positivi e negativi, dipende come sempre dall’uso che se ne fa. Io li utilizzo per mantenere contatti e tenermi aggiornata sulle iniziative culturali e divulgative degli scrittori e dei blogger che stimo, poi cerco di far conoscere i miei romanzi e la storia che è la mia grande passione.
I rischi dei Social sono quelli di sviluppare una dipendenza e di incontrare i cosiddetti “leoni da tastiera”, persone che, nascoste dal web, si lanciano in insulti gratuiti commentando contenuti che nemmeno conoscono bene. Ricordo ancora che, mentre scrivevo “L’erborista di corte”, lessi un post su una famosa donna dello spettacolo e rimasi colpita dai commenti di molte donne che criticavano soprattutto l’aspetto fisico della protagonista del post. Fu allora che decisi di inserire nel romanzo il tema della “sorellanza” che salva Costanza Calenda e Giovanna d’Angiò, due donne intelligenti che seppero supportarsi a vicenda invece che danneggiarsi vicendevolmente.
Intervista di Enrico Spinelli
Commenta per primo