Abbiamo intervistato lo scrittore Salvo Toscano, autore della serie dei “Fratelli Corsaro”.
Prima di tutto le chiederei di presentarci il suo nuovo romanzo “L’ultimo presagio“
Si tratta di una storia che comincia in un modo un po’ insolito. Un’anziana, molto agitata, scampanella allo studio dell’avvocato Roberto Corsaro e gli domanda: se mio figlio mi uccide può ereditare i miei soldi? Qualche tempo dopo, l’anziana in effetti muore. Da qui si dipana la trama gialla. La storia è come sempre ambientata a Palermo.
Come descriverebbe i fratelli Corsaro a chi non li conosce? Con quali aggettivi li definirebbe?
Roberto, l’avvocato, è un uomo roccioso, responsabile, retto. Si fa carico delle debolezze altrui ma tutto il peso delle responsabilità scatena in lui una vasta gamma di disturbi, dalla gastrite all’ipocondria. Fabrizio, il giornalista, è più anticonformista, individualista, amante della bella vita. O almeno lo era prima che nella sua vita arrivasse Nico, il bambino di cui ha l’affido. Che lo sta cambiando parecchio.
Nel 2025 saranno 20 anni dall’esordio letterario dei fratelli palermitani, come sono evoluti in questi 12 romanzi? Si sarebbe aspettato un percorso così lungo?
I romanzi sono undici, più un racconto lungo con Fisichella, uno dei comprimari della serie, in cui fa un’apparizione Fabrizio. Sono cambiati tantissimo. Avevano trent’anni all’inizio, ora ne hanno quarantacinque. Hanno imparato a smussare gli spigoli dei loro caratteri. Roberto è un po’ meno rigido, Fabrizio un po’ meno minchione. Un percorso così lungo no che non me lo aspettavo. Ci speravo, forse, quando li ho creati, ma non avrei mai osato sognare tutta la fortuna che hanno avuto. Che è stata davvero tanta e per la quale sono loro grato.
In questo anno abbiamo assistito alla trasposizione filmica delle sue prime quattro storie. Che effetto le ha fatto vedere sullo schermo ciò che ha immaginato e scritto?
Si tratta di un lavoro fatto da altri, che diventa inevitabilmente qualcos’altro rispetto a quello che tu hai creato. A me ha fatto piacere vedere la fiction, ho apprezzato la bravura degli attori e il rispetto che tutto il progetto ha avuto per i miei libri. Certo, è stata una bella emozione, come se un cerchio si chiudesse, dopo tanti anni. So che a tanta gente è piaciuta, magari per molti sarà un modo per approcciarsi ai libri e questo ovviamente mi fa piacere, perché va da sé che chi scrive desidera essere letto.
Il suo stile è molto peculiare e c’è una forte dose di ironia. Quanto può aiutare uno strumento del genere nel catturare il lettore e al contempo nel denunciare determinate situazioni?
Credo che quello sia ciò che i miei lettori più amano dei romanzi dei fratelli Corsaro. Per me è una cosa abbastanza naturale, lo faccio anche quando parlo alle presentazioni dei miei romanzi. Qualche lettore alla fine mi dice sempre: “Lei dovrebbe fare l’attore”. Ma mica posso fare tutto io… L’ironia è uno strumento molto efficace per trasmettere qualsiasi concetto.
Pur senza abbandonare i suoi personaggi nel 2019 ha pubblicato un romanzo con un nuovo protagonista, Joe Petrosino, presente al momento in due romanzi. Cosa l’ha spinta a creare questa figura?
Scrivere di Giuseppe “Joe” Petrosino, il mitico poliziotto italoamericano che fu poi ucciso dalla mafia a Palermo nel 1909, è stato un modo per raccontare l’epopea degli italiani in America. Il nostro è solo da poco tempo un Paese di immigrazione, per moltissimi anni è stato invece un Paese di emigrazione anche se quella storia sembra si sia fatto di tutto per dimenticarla. Le vicende dei nostri connazionali negli Stati Uniti, soprattutto in quel periodo, sono molto utili per capire quello che succede oggi nel nostro Paese a parti invertite.
Ha in mente in futuro di scrivere altre storie con questo personaggio?
Non lo so, è molto laborioso scrivere i libri di Petrosino, richiede un grandissimo lavoro di ricerca storica. Non solo sulla sua figura, che ovviamente ho molto approfondito, ma sul contesto in generale. E lì, per un romanzo, servono informazioni che non sono così semplici da recuperare. Sono soddisfatto dei due romanzi che ho scritto, chissà, magari fra qualche tempo potrei chiudere una ideale trilogia. Intanto uno dei due libri è stato trasposto a teatro, in una lettura molto ironica, anche quella è stata una bella emozione.
Sempre più spesso assistiamo a veri e propri “crossover” tra personaggi di autori diversi, cosa ne pensa a riguardo? C’è qualche scrittore con cui le piacerebbe collaborare?
Con Agatha Christie, ma è complicato. Scherzi a parte, non so se ne sarei capace. E non so se ne sarebbero capaci i fratelli Corsaro. Già hanno qualche difficoltà a collaborare tra loro, figuriamoci con un terzo. Qualche mia lettrice mi ha detto che le piacerebbe leggere una storia con i fratelli Corsaro e Vanina Guarrasi, la poliziotta di Cristina Cassar Scalia che indaga a Catania. Le ho risposto che magari un giorno li faremo incontrare a metà strada in una stazione di servizio sulla A19”.
Per quanto il passaparola tra lettori o con i librai esista e resista ancora e indubbio che oggi molto della comunicazione passi attraverso i Social, qual è il suo rapporto con questa realtà?
Passo forse troppo tempo sui social La cosa buona è che sono il canale principale per me per comunicare con i miei lettori. Mi cercano su Facebook e su Instagram e mi scrivono e io rispondo sempre, è la parte migliore di tutto il lavoro per me.
Come ultima domanda una curiosità. I suoi romanzi sono impostati su una base giallistica classica, pur con l’ironia di cui parlavamo sopra. Le è capitato per caso di leggere Benjamin Stevenson, autore di “Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno”, e il suo simpatico e ludico decalogo del “giallo perfetto”?
No. Ma come disse Troisi al monaco: “mo me lo segno”.
Intervista di Enrico Spinelli
L’ULTIMO PRESAGIO – Salvo Toscano
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