Abbiamo intervistato Lorenzo Marone, in occasione del suo ultimo romanzo Sono tornato per te

Abbiamo intervistato Lorenzo Marone. Partendo dal suo ultimo romanzo, “Sono tornato per te”, l’autore napoletano ha condiviso con noi molte riflessioni interessanti riguardo la sua produzione narrativa e la nostra società

Come prima domanda ti chiederei di presentarci il tuo ultimo romanzo, “Sono tornato per te“.
Diciamo che sono due romanzi in uno, tutto nasce infatti da due desideri, innanzitutto quello di raccontare la storia vera dei pugili prigionieri dei campi di concentramento che erano costretti a boxare per avere salva la vita- al  Führer piaceva il pugilato e i Kapo e le SS scommettevano sugli incontri- e molti di questi sono stati italiani: io cito Roberto Benassi ma c’erano anche boxeur professionisti, il più conosciuto era Leone Efrati, detto Lelletto, che aveva combattuto per il titolo dei pesi piuma, oppure Trollmann il campione dei medio massimi ad esempio che venne trucidato per aver messo al tappeto un SS. È una storia che conoscevo da tanto e che secondo me andava raccontata. A questa ho affiancato la volontà di raccontare una storia d’amore romantica, non del presente perché non mi interessava- forse non sarei neanche in grado di raccontarla anche perché i miei personaggi sono spesso cinici e disillusi nei confronti dell’amore- ed  ecco quindi la storia di Cono e di Serenella (i protagonisti del romanzo), una storia d’amore del tempo dei nostri nonni, di una generazione in cui si conoscevano a quindici anni, non avevano neanche il tempo di fidanzarsi, vedendosi di nascosto e poi separati dalla guerra. Ho unito queste due volontà e ho ambientato tutto nel Vallo di Diano, una terra a me molto cara per tutta una serie di motivi che indico anche nei ringraziamenti finali.
Trovo sia molto bello il personaggio di Serenella, una figura femminile molto moderna e determinata ed è bello il fatto che le sue qualità e i suoi valori non siano mai messi in discussione e per questo la ritengo al pari di Cono, anche lui personaggio molto bello e di grande modernità, come protagonista.
Si, hai detto bene, tra l’altro questa è una cosa che finora nessuno aveva sottolineato quindi ti ringrazio. È una figura moderna, ma spigliata che, seppur nel passato, è già in qualche modo emancipata per l’epoca, vuoi anche per il pensiero politico del padre (socialista). Poi oggi siamo costretti a parlare di patriarcato figurarsi a quei tempi: la stessa nonna Erminia parla dei contadini che si piegavano di fronte ai potenti e ai sacerdoti e poi a casa facevano i prepotenti con le mogli. Di contro c’è una descrizione romantica della famiglia con gli occhi di Cono, cioè di un ragazzo di 16 anni, perché di fatto il romanzo rappresenta i pensieri del protagonista, che insieme a Serenella rappresenta un elemento di modernità in quell’epoca.
Lorenzo Marone

Come ha detto in tempi recenti Liliana Segre i testimoni diretti dell’orrore perpetrato dai nazifascisti sono sempre meno. Quale contributo possono dare le generazioni più moderne per tenere viva la loro memoria e quanto e difficile portare avanti questo testimone?

 

Io di tutte le persone che cito- la seconda parte del libro è romanzata ma ci sono praticamente tutti aneddoti reali presi dalle testimonianze dei sopravvissuti- credo ne sia rimasto in vita solo uno, ultracentenario. È una generazione che si sta esaurendo, tocca quindi a noi, attraverso i racconti dei nostri nonni, continuare a raccontare, perché non si può esaurire il racconto con la morte di una generazione. La storia si deve raccontare e conoscere e avere memoria del proprio passato. Il problema è più ampia perché siamo una società senza memoria. Se andiamo a vedere l’aspetto scolastico si arriva appena al secondo conflitto mondiale, mentre degli ultimi 70 anni si sa poco: i ragazzi in questo modo vedono la storia come qualcosa di lontano e astratto e non si rendono conto che la storia siamo noi.

 

I tuoi romanzi hanno spesso dei protagonisti presi tra gli “ultimi” (come li definirebbe De Andrè) e i “reietti”, penso anche al tuo precedente romanzo “Le madri non dormono mai” e sempre con una prosa precisa e rispettosa. Quali sono le difficoltà nel raccontare le loro storie senza cadere nella trappola della retorica o del buonismo?

 

C’è il rischio ovviamente. la parola buonismo non mi è mai piaciuta, la usano quelli che non sanno cosa significa essere buoni e che non sanno vederlo quando descrivi o racconti di una persona buona, come può essere in questo caso Cocuzza o Palermo. Poi certo non so deve cadere nella retorica ma questo in ogni cosa. Io racconto quello che è il mio sguardo e il mio pensiero sulle cose, se questo i lettori lo trovano non retorico ma garbato è solo un piacere ma fa parte di quello che sono io. Non ho paura di cadere nel buonismo perché non credo nel buonismo.

 

 

 

 

 

Una cosa che ho riscontrato tanto in questo libro quanto in “Tutto sarà perfetto” è la presenza di elementi da romanzo di formazione. È qualcosa che senti tuo?

 

Più che romanzo di formazione i miei personaggi sono sempre in evoluzione, in trasformazione, e la cosa riguarda prima di tutto me stesso. Se andiamo infatti a vedere la mia produzione sono tutti libri diversi e infatti è difficile consigliare ai nuovi lettori con quale libro cominciare: “La tentazione di essere felici” è certamente il mio lavoro più venduto e forse il più amato ma sono passati dieci anni e quel Lorenzo non c’è più perché faccio del mio meglio per cercare di evolvermi il di migliorarmi. Anche il discorso sugli “ultimi” e un’esigenza, un desiderio che strada facendo ho sentito anche grazie al fatto che i primi romanzi sono stati per me terapeutici, in quanto mi hanno permesso di curare alcune ferite. Quando guarisci puoi volgere lo sguardo altrove e tendere la mano all’altro, se sei preso dalla sofferenza o da vuoti incolmabile diventi egocentrico e non hai la possibilità di vedere gli altri. Poi io ho sempre cercato di raccontare l’individuo e la fatica del vivere quotidiano seppur con ironia. Proprio l’ironia finisce dopo “Tutto sarà perfetto” perché era diventata una sorta di gabbia, sembrava quasi che non potessi raccontare niente senza essere ironico. Tornerò all’ironia ma io voglio raccontare quello che sento senza paletti. C’è comunque un po’ del romanzo di formazione nei miei personaggi che si trovano spesso di fornte a un bivio e sono costretti a compiere delle scelte per affrontare questa cosa complessa e affascinante che è la vita.

 

 

 

 

 

Rimanendo sul romanzo che ho citato sopra emergono forte le difficoltà legate all’assenza di dialogo e il bisogno di approfondire la conoscenza reciproca. Uscendo dall’ambito narrativo quanto credi che l’assenza di questi elementi sia alla base di tanti problemi della nostra attualità?

 

È un realtà la mancanza di empatia, il problema o l’impossibilità di molti di entrare un contatto con l’essere umano che ha di fronte. Se fossimo tutti empatici il mondo sarebbe sicuramente diverso perché saremmo in grado di vestire i panni dell’altro e capire cosa sta provando. Solo comprendendo che conoscendo l’altro si vive meglio riusciamo a salvarci, e questo avviene attraverso il contatto e l’amore. Proprio l’amore è il tema del mio ultimo romanzo, l’amore che permette alla nostra specie- così sbagliata- di tirare avanti, chi lo sa per quanto…

 

Parlando di relazioni umane va detto che oggi i Social hanno permesso a persone distanti di interagire ma hanno appiattito i rapporti umani. Ti chiederei di darmi la tua opinione su questa dimensione?

 

Diciamo che li uso essenzialmente per lavoro. Ormai per altro non sono più neanche dei Social, sono delle scatole piene di pubblicità. Io dico sempre che il progresso tecnologico può definirsi tale quando va di pari passo col progresso umano, se tende al peggioramento dell’essere umano non si può più parlare di progresso. E mi sembra di poter dire che in questo senso ci ha reso peggiori, fatte salve ovviamente la scienza e la medicina.

 

 

 

 

 

Come ultima domanda ti chiederei una domanda su Napoli, la tua città. Qual è secondo te un aspetto di questa città che non arriva a chi non la conosce o non la vive?

 

Domanda complessa. Io ho molti conflitti con la mia città pur amandola. Napoli è raccontata in mille modi diversi la narrazione che prevale è comunque distorta nel senso che prevale quella del “posto pericoloso, ecc…”, e questo ha creato certamente dei grossi danni. Il danno più grande, secondo me, è stato fatto però dai napoletani stessi che vivono come se dovessero espiare una colpa che non hanno commesso, per cui c’è questo senso di rivalsa, di voler dimostrare e voler dire il contrario e che ci porta a dire “siamo la città più bella del mondo”, “campioni in Italia e non d’Italia”. Secondo me è la frase peggiore che si possa dire perché si spegne il senso critico.

Ultimamente le cose stanno cambiando, c’è voluto non tanto la politica quanto Maradona: il murale a lui dedicato nei quartieri spagnoli è uno dei siti più visitati in Italia, riqualificando un quartiere, la dove non è arrivata la politica, di per sé abbastanza assente.

 

Ti ringrazio tanto per la disponibilità.

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

SONO TORNATO PER TE  Lorenzo Marone

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LA TENTAZIONE DI ESSERE FELICI Lorenzo Marone

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