Abbiamo intervistato Marino Bartoletti il quale ha condiviso con noi molti aspetti, anche profondi, del suo “Ciclo degli Dei” e ci ha regalato alcune curiose anticipazioni e riflessioni interessanti sulla musica, i Social e la televisione.
Se devo inventare un Paradiso cerco di immaginarlo come mi piacerebbe, al di là del fatto che mi è stato scritto “Come è bello questo Paradiso dove si mangiano tortellini e si beve Lambrusco” e quindi ho fatto anche dei proseliti in questo senso. Però è ovvio che mi piace immaginarli cosi questi personaggi, che abbiano portato Là la loro poesia, il loro talento, persino la loro gioia di vivere anche se può sembrare un ossimoro, in certi casi oltre alla loro genialità anche la loro follia. Mi piace che vengano rappresentati in maniera assolutamente reale. Le dirò che ho chiesto aiuto anche a un teologo per capire se non stessi andando un pochino oltre e lui mi ha detto che anche Gesù quando risorge è un Uomo bello che come prima cosa chiede ai suoi apostoli di poter mangiare. È il motivo per cui ho immaginato questi personaggi al massimo del loro fulgore, nel caso per esempio della “Partita degli Dei” ho immaginato che Stefano Borgonovo, morto di SLA, non sia più sulla sedia a rotelle ma sia un bellissimo ragazzo pronto ad andare in campo, o che Giuliano Giuliani, morto di AIDS, non abbia altra voglia se non tornare in campo a difendere i pali della sua porta, così come Agostino Bartolomei, che se ne è andato sparandosi un colpo al cuore, abbia ancora voglia di giocare una partita o ancora che Andrea Fortunato, morto a 23 anni di leucemia quando stava per diventare il più grande terzino della storia del calcio italiano, voglia ancora mettersi le scarpe e giocare. C’è poesia e la ringrazio per averlo detto ma c’è anche tanta speranza che mi piace venga rispecchiata in qualche modo. Forse il vero assunto di tutto il libro è che noi, al di là delle persone care, in questi personaggi vediamo degli amici e ci fa piacere l’idea che possano dare un’occhiata quaggiù e ci possano dare una mano al momento giusto e immaginarli nel fare la cosa che hanno più amato, prendere a calci un pallone.
Rimanendo nell’ambito della poesia trovo che i versi immortali di Ugo Foscolo “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’forti” si sposino alla perfezione con le sue opere. C’è la speranza che, anche grazie ai suoi romanzi, questi Dei grandi e così umane possano essere di ispirazione anche per chi non li ha conosciuti o vissuti?
È esattamente il mio obiettivo. Sono i nostri lari, i nostri punti di riferimento, sono i nostri esempi. Io ricevo lettere- dico lettere perché quando ero direttore di Guerin Sportivo ero molto attento al rapporto con i lettori e alla corrispondenza – messaggi e mail, e molti sono incuriositi dalla storia, a volte anche drammatica ma piena comunque di belle cose, di questi campioni: molto di loro sono andati oltre rispetto a quello che la Natura gli aveva dato, penso a Pietro Mennea per dirne uno. E quindi l’idea che ci siano dei punti di riferimento, dei paletti in quelle che dovrebbero essere le nostre speranze è forse la morale di questi libri assieme a un’altra che riguarda molti dei personaggi che troviamo in queste opere, e cioè che se ne sono andati senza un’ultima carezza, penso a Maradona o a Mia Martini. Penso sia giusto che nel Luogo questa carezza venga loro restituita.
Da segnalare il suo azzeccato il suo piccolo cameo (Baffonero) riferito nel terzo libro.
Una civetteria alla Hitchcock, che doveva sempre apparire con un cameo nei suoi film come per dare loro un imprinting. Ho visto che ha molto divertito questa cosa di Baffonero, l’ho accennata anche nell’ultimo libro.
Nel corso della lettura si percepisce non solo la sua grande cultura ma soprattutto la passione e il suo attaccamento ai protagonisti delle sue storie. Sembra quasi che più che un narratore lei sia un compagno di viaggio che si emoziona insieme a noi di fronte alla scena che sta raccontando.
Ha visto bene. Non posso dire che siano tutti amici i personaggi di cui parlo ma certamente sono tutte persone che ho conosciuto molto bene e senza questa conoscenza questi libri non sarebbero mai potuti nascere. Non si fanno questi romanzi leggendo Wikipedia o le biografie dei personaggi coinvolti. Io con queste persone ho viaggiato, ho cenato ho riso e pianto in alcuni casi. Mi piace tenerli ancora per mano e mi piace che siano loro a tenermi ancora per mano.
Uscendo dall’ambito narrativo lei è un grande cultore ed esperto di musica e allora mi permetto una riflessione un po’ polemica e prendo un esempio tra i tanti che potrei fare: Zucchero ha un grandissimo successo commerciale ma spesso mediaticamente si parla più dei suoi plagi veri o presunti piuttosto che della qualità dei suoi lavori, mentre osanniamo i Led Zeppelin, immensi, che dichiaratamente copiavano a destra e a manca. Non trova che questa disparità di giudizio a discapito degli artisti di casa nostra sia approssimativo, superficiale e fastidioso?
Guardi, è sbagliata la premessa perché purtroppo, e mi ci metto io per primo quindi non gliene faccio una colpa, siamo portati a dire “come scrivono i Social”. I Social non sono il giudizio divino, un’ordalia attraverso cui si deve passare per forza, sono opinioni in libertà spesso di persone piuttosto ignoranti se non addirittura invidiose per cui forse dovremmo attenerci più alle nostre sensazioni, ricordare che anche Mozart ha copiato ma quando uno copia e copia in meglio non si capisce perché è non dobbiamo apprezzarne il risultato. Ripeto, è la premessa sbagliata in cui io stesso mi coinvolgo perché a volte sui Social mi faccio trascinare per i capelli- e ne ho tanti ancora- in polemiche che dovrei completamente ignorare perché ci troviamo ad avere a che fare con persone incapaci di giudicare o perlomeno non di farlo né lucidamente né con competenza.
Rimanendo sulla musica, visto che nel Luogo sono giunti tanti Dei della musica italiana, c’è la speranza che il “Grande Vecchio” decida di organizzare un “Sanremo degli Dei”?
Guardi, non so se lei mi legge nel pensiero, comunque le dò un’anticipazione. Io alla fine di ogni libro che ho scritto ho sempre assicurato, giurato e spergiurato che non avrei fatto il secondo, il terzo o il quarto. Anzi, dopo il terzo avevo proprio detto in conferenza stampa al Salone internazionale del libro che la storia finiva lì perché non volevo fare la “saga di Harry Potter” e che piuttosto il quarto libro sarebbe stato un romanzo d’amore, col mio editore che mi guardava con gli occhi fuori dalla testa come a dire “che c*** stai dicendo?”. Questa volta invece so già che farò il quinto libro, che si chiamerà “Il Festival degli Dei” per festeggiare il settantacinquennale del Festival di Sanremo. Non sarà facile decidere chi escludere: metta pure che faccia una gara tra 20 concorrenti, ne devo escludere almeno 200, tanto più seguendo un criterio che non sia soltanto quello della gloria, altrimenti dovremmo farlo solo con Modugno e Claudio Villa; vorrei piuttosto non ignorare personaggi come Tenco o Alex Baroni. Sarà una sofferenza che durerà parecchi mesi credo e mi dovrò confrontare non soltanto con la mia coscienza ma anche con chi mi dirà “perché non hai messo, che ne so, Roby Ferrante”- e non escludo di metterlo- come già mi scrivono adesso. Uno addirittura mi ha chiesto perché non ho messo Platinì e io gli ho risposto “Perché Platinì è vivo”.
Lei è anche un volto televisivo noto, e a lei devo una trasmissione meravigliosa soprattutto per me non amante del calcio come “Quelli che il calcio…” e a breve so che debutterà in veste di attore, viene naturale chiederle come sono nati entrambi i progetti.
“Quelli che il calcio…” è nato perché io da bambino guardavo la radio, non la ascoltavo e quindi mi sono sempre portato avanti non sapendo che un giorno avrei potuto realizzare questo sogno di trasportare in televisione qualcosa che era soltanto radiofonico come “Tutto il calcio minuto per minuto”. Da lì è venuto fuori, lo dico con molta serenità, un gioiello storico della televisione perché la narrazione dello sport da quel giorno è cambiata e soprattutto- lei me lo conferma- ha coinvolto soprattutto le persone a cui lo sport non interessava per niente, ed è stato un successo credo senza paragoni. Poi a un certo punto è venuta a mancare la materia prima e cioè le parti di contemporanea per cui è rimasta soltanto una cosa di cui il poeta direbbe “penso che un sogno così non ritorni mai più”.
Per quanto riguarda queste cose che ho fatto dal lato delle macchine da presa in realtà ne ho fatte due: una con Neri Marcorè lo scorso anno ed uscirà ad aprile, e si tratta del cameo di un vecchio custode di un antico stadio nel suo film di esordio come regista. Nell’altra, più recente, ho interpretato me stesso in un corto sulle Madonie dove si racconta la storia di un giornalista, che sarei io, che va lì a presentare il suo libro e che resta isolato in questo paese per quattro-cinque giorni per colpa di una frana e che scopre cose stranissime e complesse che erano accadute lì nei decenni precedenti. Due belle esperienze alle quali aggiungo con un po’ più di coscienza artistica i due spettacoli che ho portato e che porto ancora in giro. Uno è dedicato a Sanremo assieme a un gruppo musicale, uno spettacolo abbastanza estemporaneo perché ogni volta cambia qualcosa. Poi c’è l’altro che si chiama “ZazzarazzaZ” (come la frase di “Bartali” di Paolo Conte), di cui vado molto orgoglioso, dove si racconta in maniera molto articolata, precisa e molto emozionante la storia di questo Paese attraverso la storia della bicicletta e dei suoi eroi quindi si va da Girardengo fino a Pantani attraverso tutte le canzoni che li riguardano: io faccio la parte del narratore e gli altri cantano tutte le canzoni che i poeti della musica hanno dedicato alla bicicletta, quindi “Bartali” di Conte, “Coppi” di Gino Paoli, Girardengo di De Gregori, ecc… Si tratta di un esperienza un pochino più strutturata e consapevole.
Lei è molto attivo sui Social con contenuti di grande interesse e sono altrettanto interessanti i suoi modi garbati ma decisi contro i seccatori- per usare un termine da fascia protetta- che puntualmente si presentano con interventi fuori luogo. Quanto è difficile vivere sui Social e offrire dei contenuti costruttivi?
Io questi contenuti cerco di darli perché sui Social faccio l’unica cosa che so fare, cioè raccontare quello che so, possibilmente in buon italiano e con un po’ di sentimento. Faccio una premessa: sui Social che hanno milioni di visualizzazioni 3-4-5 rompic*** ci stanno purtroppo, ma quello che mi fa più rabbia è il confondere le opinioni con la conoscenza. Sulle opinioni posso anche misurarmi, anche se a volte in maniera piuttosto sapida, ma se uno viene a insegnare a me chi è stato Enzo Ferrari o Marco Pantani è chiaro che lì la mia risposta è piuttosto determinata. Qualcuno dice che non dovrei farlo, io però amo il dialogo franco, come sento di rappresentarmi. Altri mi fanno ridere e altri mi fanno pena, però è chiaro che non sappiamo mai chi abbiamo dall’altra parte perché spesso chi è dall’altra parte è mosso da isteria del momento, da invidia, frustrazione, spesso da ignoranza o infelicità e allora li si lascia un tantino perdere, dopo che per altro gli altri follower li hanno già messi in riga. A volte purtroppo non basta perché ci si misura con l’intelligenza che non sempre c’è.
Per concludere un’affettuosa curiosità: lei è romagnolo e io personalmente, lavorando per due anni a Forlì come medico, ho avuto più volte modo di apprezzare la grande tempra e vitalità dei sui conterranei. Le chiedo quanto c’è del suo DNA romagnolo nella grande vitalità che traspare in tutte le sue iniziative e in tutti i suoi progetti.
C’è tutto. Se pensa che un capitolo del libro più amato dagli italiani, il libro “Cuore”, si chiama “Sangue romagnolo” vuol dire che un fondo di verità c’è. E io ho veramente il sangue romagnolo, nel bene e nel male.
La ringrazio infinitamente per la sua disponibilità.
Intervista di Enrico Spinelli
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