Abbiamo intervistato Nadia Terranova e ripercorso le sue opere partendo dall’ultimo romanzo “Quello che so di te”

Abbiamo intervistato Nadia Terranova e ripercorso le sue opere partendo dall’ultimo romanzo “Quello che so di te”

Intervista n. 242

 

Nadia Terranova (Foto di Matteo Casilli)

 

 

Prima di tutto le chiederei di presentarci il suo ultimo romanzo “Quello che so di te

Credo sia sempre un po’ strano raccontare il proprio libro in poche frasi, del resto se uno scrittore potesse farlo forse non impiegherebbe degli anni a scriverlo. Potrei rubare le definizioni degli altri, o anche gli occhi magnetici della donna in copertina.

In quest’opera troviamo due storie in parallelo eppure un qualche modo connesse, elemento che ritroviamo per altro anche negli altri suoi romanzi, quelle della narratrice e della bisnonna Venera. Quali sono i punti che accomunano due figure di generazioni differenti?

Credo che in modi diversi e in tempi diversi ci siamo interrogate entrambe sulle genealogie, su cosa significasse generare ed essere generati.

Nel romanzo gioca un ruolo fondamentale nella ricostruzione della vita di Venera anche la “mitologia familiare”, qualcosa che viviamo un po’ tutti nelle nostre realtà e che spesso si contrasta con i fatti documentati. Quanto c’è secondo lei di poetico o di problematico nelle ricostruzioni riferite generazione dopo generazione?

Credo sia spesso entrambe le cose: poetico e problematico insieme. Del resto, la poesia pone problemi, cercare una lingua per esprimerli, prima ancora che per risolverli, è compito della letteratura.

Non va scordato l’ampio spazio dedicato alla realtà dei manicomi e alle “patologie” del periodo. Quanto è stato impegnativo documentarsi e quanto e importante conoscere questa pagina non proprio edificante della nostra Storia?

Si è trattato di un viaggio vero e proprio: nei manicomi di stampo ottocentesco, nella loro lingua, nella loro visione dell’umanità e della malattia. In molti casi si trattava di posti avanguardistici, che praticavano metodi che a noi oggi, dopo la rivoluzione della psichiatria di Franco Basaglia, suonano in tutto il loro orrore, ma rispecchiavano la mentalità dell’epoca: sedare, più che capire.

Oggi non esistono più i manicomi ma sopravvivono molti dei luoghi comuni e delle considerazioni che al tempo portavano le donne a essere considerate malate e condannate a trattamenti quanto mai deleteri. Quale contributo può dare la cultura e la narrativa per superare questa odiosa situazione?

Per esempio, si possono epurare dalla lingua aggettivi come “isterica”.

Il tema della memoria richiama un po’ un’altra sua opera, “Addio Fantasmi“, nella quale la narratrice compie un percorso per riuscire a convivere con il suo passato. Quali sono il peso e il valore della memoria della nostra vita e le difficoltà di conviverci secondo lei?

Secondo me più che conviverci bisogna convertirla in futuro. Capire chi potremo essere, da chi siamo stati.
Addio fantasmi Nadia Terranova Recensioni Libri e News UnLibro

In “Trema la notte” di tre anni fa trovavamo due protagonisti entrambi vittime sia del terremoto che di situazioni drammatiche e che devono trovare la forza di rialzarsi. La loro storia mia ha fatti pensare molto alla Sicilia, una terra che dopo ogni tragedia si rialza sempre, condivide?

Mi sembra una interpretazione interessante e utile per uscire da una visione strettamente verghiana della Sicilia.

Dieci anni fa usciva “Gli anni al contrario”, un romanzo che secondo me ha il grande merito di raccontare con grande concretezza gli anni di piombo e gli eventi successivi attraverso gli occhi di due persone che, pur partendo da ideali simili, seguono strade diverse. Cosa pensa di quell’opera a distanza di tempo?

Sono affezionata a quel romanzo, oggi ovviamente non lo riscriverei più così, ma sono grata di averlo lasciato andare, ha inaugurato un cammino verso altri luoghi.

Lei ha scritto tanti libri per ragazzi, quanto è difficile comunicare con loro e quanto è importante riuscire a veicolare loro messaggi di attualità attraverso la narrativa?

Bisogna stare attenti a non elargire soluzioni dall’alto, ma scrivere sempre tenendo presente la propria voce più infantile.

Un’ultima domanda, ringraziandola per la sua disponibilità: oggi la comunicazione viaggia sempre più spesso attraverso i Social, con tutto il bene e il male che ne consegue. Qual è il suo rapporto con questa realtà?

Li uso poco, forse un po’ di più Instagram per tenere un filo con lettori e librai e anche per condividere ogni tanto le mie letture: libri belli che mi sembra non trovino il loro posto, sommersi dal mare di pubblicazioni che escono ogni settimana.
Intervista di Enrico Spinelli

 

QUELLO CHE SO DI TE Nadia Terranova

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ADDIO FANTASMI Nadia Terranova

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TREMA LA NOTTE  Nadia Terranova

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