Abbiamo intervistato Nicoletta Verna, affrontando molti aspetti del suo romanzo “I giorni di vetro”

Abbiamo intervistato Nicoletta Verna, affrontando molti aspetti del suo romanzo “I giorni di vetro” con tanti spunti di riflessione e di approfondimento.

 

Intervista n. 213

 

 

Nicoletta Verna

 

 

Prima di tutto le chiederei di presentarci il suo romanzo “I giorni di Vetro”

I giorni di Vetro è un romanzo ambientato durante il ventennio fascista nella Romagna di Mussolini. Racconta le vicende di due donne, Redenta, che nasce il giorno del delitto Matteotti, e Iris, che aderirà alla lotta partigiana. I destini all’inizio lontani di queste due donne confluiranno in una vicenda comune.

 

Ha dovuto documentarsi in modo particolare per realizzare un’opera che, pur con personaggi immaginari, si svolge in un contesto storico drammaticamente reale?

Sì, il romanzo è frutto di un processo di documentazione piuttosto lungo, non tanto e non solo per ricostruire le vicende storiche, che sono abbastanza note, ma anche e soprattutto per recuperare lo spirito dei tempi, della Romagna di quegli anni: le relazioni tra le persone, le credenze, le tradizioni, il folklore, la lingua, gli usi e anche alcuni eventi apparentemente marginali che la grande Storia ha tenuto in secondo piano. Per questo mi è stata fondamentale la consulenza di alcuni storici della Romagna come Antonio Zaccaria, Franco Zecchini o Gabriele Zelli, che hanno a lungo studiato questi temi.

 

 

Trovo che Redenta sia un personaggio che rimane impresso sia per la sua caratterizzazione che per il messaggio di speranza e carità. In un certo modo mi ha fatto pensare alla figura storica di Anne Frank. Come è arrivata a creare un personaggio così memorabile?

Redenta è sicuramente il fulcro della narrazione. Rappresenta la pietà, la carità umana e cristiana in un mondo che è preda e vittima della violenza. Ricorda molte donne che con con gli unici mezzi che avevano a disposizione (la tenacia, la pazienza, il sacrificio, l’umiltà) hanno resistito alla Storia. Il riferimento ad Anna Frank, vittima innocente di una fra le più assurde stragi della nostra Storia, è molto bello e lusinghiero, ti ringrazio! Un’altra ispirazione per questo personaggio è sicuramente Ida Ramundo di Morante. Sebbene Ida sia, ovviamente, inarrivabile.

 

Trovo che Iris e Redenta siano entrambe un simbolo di speranza, la prima forse un po’ più nei confronti di un ideale, la seconda del genere umano, condivide?

Certamente, le due protagoniste e la sorellanza che si instaura tra loro incarnano la speranza e anche la tenacia, l’attaccamento più profondo alla vita. Nonostante la crudezza degli eventi, il filo della carità, della compassione, della Grazia attraversa la vicenda. Sopravvivere anche di fronte alle tragedie o ai soprusi, mettere sempre davanti a tutto il valore della vita (sia pure imperfetta, crudele, dolorosa) è il nostro valore più alto, spesso il più difficile da perseguire. La speranza è ciò che ha permesso alla specie umana di non estinguersi.

 

 

Vetro è un cattivo anche qui realizzato con una maestria che quasi farebbe impallidire i celebri antagonisti creati da Dickens. Possiamo dire che lui incarni quasi metaforicamente tutti gli aspetti del male, la seduzione, l’apparente piacenza e infine il sadismo?

Vetro è un personaggio abietto, e lo è in particolare perché all’inizio sembra suadente, affascinante. Incanta con la sua bellezza, con il suo potere: è un miliziano, un uomo galante e di bellissimo aspetto. Eppure l’unica forma di vita e vitalità che conosce è la costante, quasi disperata ricerca del male. È un personaggio sicuramente eccessivo e parossistico, ma la Storia (come pure la contemporaneità) ci insegna che non sono così infrequenti figure come questa, figure prive di qualunque forma di empatia, uomini che perseguono senza ombra di rimorso o di dubbio la crudeltà più profonda, il male più assoluto. È dunque una figura attuale e anche piuttosto realistica.

 

Sento spesso dire di romanzi del genere “c’è troppa violenza, troppo sangue, troppo dolore” eppure credo che sia fondamentale un approccio quanto più possibile aderente ai fatti, o per lo meno assimilabile alla Storia, per permettere al lettore di calarsi del tutto nella dimensione narrata. Non trova che questo continuo tentativo di “indorare la pillola” porti a una sottovalutazione del dramma vissuto nel nostro passato?

La scelta di descrivere la violenza senza tentativi estetizzanti, ma anche senza nessuna forma di edulcorazione, è stata consapevole e molto decisa. Mi rendo conto che alcune scene possano risultare disturbanti, ma l’obiettivo è esattamente quello: mostrare gli eccessi a cui può condurre la violenza, usare la parola e le sue potenzialità per dipingere ciò che avviene quando si perde qualunque legame con la misericordia, con l’umanità. La strage di Addis Abeba, per citare un fatto vero riportato nel romanzo, è stato un orrore storico assoluto, spesso dimenticato: non mi sarebbe sembrato giusto smussarne gli eccessi. Avevo bisogno di rendere l’atrocità della Storia, per rendere la dimensione tragica dei personaggi, delle loro scelte sofferte, delle loro relazioni.

 

 

Ripensando un po’ a quel che diceva Calvino che considerava il neorealismo come una nuova epica, pensa che un’opera come “I giorni di Vetro” possa in qualche modo raccogliere l’eredità di quella grande tradizione?

Mi sono profondamente ispirata a quella letteratura, pur offrendo uno sguardo contemporaneo che è necessariamente molto diverso. Che i segni di quella ispirazione emergano dalla pagina è per me motivo di gioia e onore.

Quanto può contribuire la narrativa a tenere viva la memoria, tenendo conto che sono sempre meno i testimoni diretti di quegli anni?

Mancando la memoria orale e la testimonianza diretta, non ci restano che forme mediate per conoscere il passato. La narrativa è un buon modo nella misura in cui inserisce l’evento in una narrazione. La mente umana ha una dimensione narrativa, costruisce l’identità attraverso un insieme di racconti collegati cronologicamente tra loro e le opere che assecondano questo aspetto attivano meglio alcuni arcaici meccanismi di identificazione. La letteratura, inoltre, è in grado di dirci il vero sulla realtà mantenendo vive diverse prospettive, attraverso i personaggi e i loro conflitti: anche questo aiuta a donare profondità alla vicenda storica.

 

Un altro personaggio femminile molto affascinante, pensando al suo romanzo “Il valore affettivo”, è la protagonista Bianca. Come ce la presenterebbe a quali pensa siano i suoi punti di contatto, se ci sono ovviamente, con Redenta?

Sono due personaggi molto diversi, ma accomunati dall’avere una vita interiore nascosta, movimentata, difforme dall’apparenza. E forse opposta. Bianca dietro una facciata di inscalfibile sicumera cela un’inquietudine profonda, Redenta che sembra in costante balia degli eventi è invece una donna determinata e dall’inaspettato coraggio.

 

 

 

In entrambi i romanzi ci si concentra molto sulla dimensione dell’infanzia, quanta forza e quanta fragilità c’è in questa fase della vita?

L’infanzia di ognuno è diversa, non saprei come rispondere a questa domanda. Per qualcuno è il periodo idilliaco che rimpiangerà per tutta la vita, per qualcun altro è un trauma. Per le protagoniste di entrambi i romanzi l’infanzia è un periodo dove le tremende tragedie del futuro sono ancora lontane, ma dove già sperimentano la durezza dell’esistenza e le regole impassibili che dominano il mondo.

 

Siamo in un’ora dove la condivisione, il confronto e purtroppo lo scontro avvengono sempre più spesso virtualmente grazie ai Social, qual è il suo rapporto con questa realtà?

I social sono il regno degli haters e delle fake news, però sono anche una fonte inesauribile di contenuti interessanti e indipendenti. Occorre esercitare una forte attività di selezione, salvare quel che c’è di buono. Per comunicare prediligo di gran lunga altri media, ma seguo volentieri sui social contenuti molto belli di autori o influencer cui altrimenti non avrei accesso.

 

Intervista di Enrico Spinelli

 

I GIORNI DI VETRO Nicoletta Verna

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