Abbiamo intervistato Paolo di Paolo che ci ha parlato del suo ultimo “Romanzo senza umani” e ripercorso alcuni elementi della sua proposta narrativa

Abbiamo intervistato Paolo di Paolo che ci ha parlato del suo ultimo “Romanzo senza umani” e ripercorso alcuni elementi della sua proposta narrativa

Intervista n. 208
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Per cominciare le chiederei di presentarci il suo ultimo libro “Romanzo senza umani“. Qual è stata la scintilla e/o la fonte di ispirazione che l’ha portata a scrivere questa storia?
Una domanda semplice e impegnativa allo stesso tempo: si può scrivere un romanzo senza umani? Un racconto privo di figure umane. Ho provato a ragionare sulla possibilità di costruire un romanzo di puro paesaggio naturale. Ma, almeno per me, è stata una sfida vinta a metà: un’ampia porzione del libro evoca distese di ghiaccio senza anima viva, ma non sono riuscito a non ancorarmi per altrettante pagine a una figura in carne e ossa e forma umana.
Paolo Di Paolo (Foto di Stefania Casellato)
Nel romanzo il protagonista Mauro Barbi tenta di “aggiustare i ricordi degli anni”, quanto è complicata una simile operazione ammesso che sia possibile?
In realtà è impossibile. Gli altri ricordano ciò che ci riguarda in modo imprevedibile e spesso molto diverso da come vorremmo che lo ricordassero. Trattengono dettagli che noi stessi abbiamo tralasciato e dimenticato. Ci fissano in una versione che non è detto ci piaccia e che è difficile modificare o contraddire. Però il mio personaggio ci prova, in un corpo a corpo con la memoria che ha qualcosa del lavoro che qualunque scrittore fa scrivendo una storia.
Un elemento che sembra centrale nella narrazione è un grande lago tedesco che ha vissuto 4 secoli e mezzo prima una pesante glaciazione. Che affinità c’è tra questo elemento naturale e il compito che si è prefisso il protagonista?
 
Barbi è uno storico e ha studiato a lungo la piccola era glaciale, una lunga stagione fredda nel cuore della modernità. Quel lago di Costanza ghiacciato per mesi è entrato nella sua immaginazione e non l’ha più abbandonata. Di fronte a quel lago per come è oggi – un grande lago che difficilmente gela – si rende conto della difficile ricomposizione tra immagini del passato (in questo caso remoto) e immagini del presente. E si vede esplodere tra le mani una sorta di metafora inattesa del congelamento come dato emotivo: l’oblio è ghiaccio? Una sua certa distanza dagli altri è assimilabile a un raffreddamento sentimentale?
 
 In un’altra sua opera, “Mandami tanta vita“,.lei opera una riflessione sulla volontà nel portare avanti le proprie idee in mancanza di libertà. Quanto sente attuale quel libro guardando alla situazione sociale odierna?
 
È sempre attualissima, mi pare, la vicenda di una ragazzo di vent’anni che combatte il conformismo e la violenza politica. Non è detto che questo oggi accada in Europa, o forse anche in Europa; di certo accade ad altre latitudini quotidianamente, anche se non ce ne accorgiamo. Quanto alla libertà, concetto alto e esplorato a lungo dalla filosofia, può mancare anche in situazioni in cui non è subito evidente. Per questo è necessario “vegliare”.

Come simbolo di quella forza delle idee ha preso Piero Gobetti, a oggi quali modelli più recenti prenderebbe come riferimento? Oggi molte persone affidano la propria vita, le proprie relazioni e i ricordi ai Social Network, qual è il suo rapporto con questa dimensione?

 

Sono anche io sui social, essenzialmente per offrire un canale di interazione a persone interessate a quello che scrivo. Non condivido praticamente mai cose private. Detto ciò, il paesaggio delle relazioni social è un dato di fatto ineliminabile, per ora, dalla nostra quotidianità. Occorre considerarlo senza troppo moralismo. Ma rendendosi conto che ad averlo intossicato con linguaggio violento e penosi esercizi di grettezza intellettuale sono essenzialmente gli over 50, non i giovani. Che infatti sono scappati via da Facebook e da Twitter. Magari approdando in luoghi dove l’aspetto ludico-demenziale prevale, ma almeno non è mascherato da presunta fine ironia. Gobetti, cent’anni fa, immaginava il suo social cartaceo in forma di rivista, e distribuendone le copie all’università e nei centri di cultura offriva il suo contributo al dibattito “muovendo”, avrebbe detto lui, le idee.

Come ultima domanda le chiedo se c’è una storia o un’idea che sente di voler scrivere o se ha qualcosa in cantiere per questo 2024.

 

Sto lavorando a un libro in cui rileggo le poesie della tradizione scolastica, da Carducci a Pascoli a Leopardi, con uno sguardo di adulto che si riaccosta a quel patrimonio e prova a condividerlo.

Intervista di Enrico Spinelli

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