Abbiamo intervistato Pino Cacucci che ci ha presentato il suo ultimo romanzo “Dieguito e il centauro del Nord”

Abbiamo intervistato Pino Cacucci che ci ha presentato il suo ultimo romanzo “Dieguito e il centauro del Nord” e alcuni aspetti e riflessioni riguardanti la sua produzione letteraria e non solo….

 

Intervista n. 194

 

 

Pino Cacucci

 

Come prima domanda le chiederei di parlarci del suo ultimo romanzo “Dieguito e il Centauro del Nord”

È un romanzo basato su eventi storici e personaggi reali, sull’importanza della memoria tramandata: il vecchio Diego racconta alla nipote dodicenne Adelita di quando era un ragazzino della sua stessa età e, per varie traversie, conobbe il suo mito, Pancho Villa, il leggendario Centauro del Nord, che, ferito a una gamba, si è rifugiato in una grotta sulle montagne del Chihuahua. Nelle ore trascorse nella caverna con il Centauro del Nord, Dieguito impara tante cose della vita, della Revolución, dell’ingiustizia che impera nel Messico e che ha spinto persone generose e coraggiose (Villa, Zapata, e migliaia e migliaia di altri come loro) a impugnare le armi per pretendere un’esistenza meno grama, punendo i ricchi latifondisti che li costringono a essere i loro schiavi… e riappropriarsi di qualche risorsa prendendola a coloro che ne hanno troppe. La narrazione alterna il 1916, l’anno in cui avvengono i fatti storici, e il 1983, quando nonno Diego racconta… Infine, Adelita la ritroviamo adulta, è diventata una cantante di musica popolare messicana, e mantiene viva la memoria del nonno Diego. Adelita canta davanti a un pubblico che la adora, e fra le altre ripete una struggente canzone che, intrecciando passato e futuro, accende una nuova consapevolezza del presente: «Tu li hai vissuti quei tempi e ora… dimmi, cosa resta?»

 

 

 

Lei ha scritto diverse opere ambientate o riguardanti il Messico, quali sono gli aspetti di questa terra che la affascinano e che pensa possano essere di maggiore interesse?

Al di là delle straordinarie bellezze del Messico, mi affascinano soprattutto la capacità di preservare la memoria storica e la sua ineguagliabile cultura museale. Il Messico è un grande Paese dai contrasti estremi in ogni campo – dai paesaggi alla vita quotidiana – che allo “straniero” appaiono spesso incomprensibili e inafferrabili… estremi nel bene e nel male, certo. Ma l’aspetto che più mi ha sempre colpito è la dignità delle tante persone che lottano ogni giorno contro la barbarie, dimostrando nelle situazioni più disparate fierezza e orgoglio, e una costante, ostinata passione.

 

 

 

Quali sono gli spunti e gli elementi che la portano a concepire un romanzo? E quali sono le principali ispirazioni?

Spesso traggo spunto da eventi accaduti, partendo dai quali imbastisco una storia provando a immaginare i motivi per i quali sono avvenuti e il contesto in cui si sono svolti. E in molti casi sono state le esistenze di persone dimenticate dalla Storia ufficiale e che a me sembravano degne di essere narrate. In questo, per esempio, mi hanno ispirato le figure e le vite delle donne che tra gli anni Venti e Trenta hanno fatto la vera rivoluzione in Messico, conquistando diritti che in Europa e Stati Uniti avrebbero atteso fino agli anni Settanta per prendere corpo e affermarsi. Oppure, narrare le vicissitudini di persone che si sono ribellate contro tutto e tutti, perdendo ogni cosa, la vita stessa, ma mai il bene per loro supremo: la dignità.

 

Pino Cacucci

 

Un’opera che, lo confesso, mi è rimasta nel cuore, è “L’elbano errante“. Quanto lavoro è stato necessario per arrivare a un romanzo così complesso, articolato e, allo stesso tempo, avvincente?

“L’elbano errante” ha avuto una lunga gestazione, direi di almeno una decina d’anni. Coltivavo da tanto tempo la voglia di provare a ricostruire “l’altra faccia del Rinascimento”, che fu un secolo di immani massacri. Poi ci sono stati anni di ricerche e letture, il tutto finalizzato a creare un personaggio di finzione – il soldato di ventura elbano Lucero – che però partecipasse ai fatti realmente accaduti, guerre e battaglie, eventi storici ricostruiti il più accuratamente possibile, con lo scopo di far combaciare date e luoghi affinché potesse incontrare a Napoli, nei Quartieri Spagnoli che nel Cinquecento erano gli acquartieramenti delle truppe spagnole, un giovane poco più che ventenne, Miguel de Cervantes, e farli andare insieme nella “battaglia delle battaglie” Lepanto, lo scontro decisivo che mutò le sorti della Storia in Europa impedendo all’Impero Ottomano di arrivare a Vienna e a Venezia e oltre. Al contempo, narrare le peripezie della sorella Angiolina, sequestrata dai Turchi e venduta come schiava in Algeri, che per sopravvivere e vendicarsi di ciò che ha subìto diventa la Favorita nell’harem del Pascià: intrighi a non finire. Da un lato volevo calarmi nell’animo di una adolescente che subisce tutto questo e ne ricava forza d’animo per tenere testa a una realtà da incubo, dall’altro, narrare con epicità le imprese del fratello sui campi di battaglia, spinto da un’incessante sete di vendetta, passando dalla cosiddette Guerre d’Italia all’assedio di Malta, e prima a Bologna alla scuola di scherma allora famosa a livello europeo, quindi alla corte di Cosimo de Medici a Firenze, e a Siviglia, e in Ungheria, includendo una missione nella Nueva España, il Messico della Conquista, nel clima aberrante dell’Inquisizione, tentando di descrivere come era la nascente Città del Messico durante l’iniziale occupazione spagnola. E nel mezzo di tante avventure e disavventure, gli amori senza speranza, barlumi di sensibilità in un’epoca spietata e sanguinaria. Epoca che ci vuole una notevole dose di ipocrisia – o ignoranza storica ­– per definirla un “rinascimento”. E soprattutto, forse, riesumare le infinite atrocità commesse nel nome dell’Islam e del Cattolicesimo.

 

 

 

Quanto è importante a suo avviso il romanzo storico soprattutto ai giorni nostri e qual è il suo potere divulgativo?

Il romanzo storico attrae lettrici e lettori interessati a eventi che spesso sui libri di testo scolastici vengono trattati con superficialità se non addirittura ignorati o travisati. La Storia è sempre maestra di vita, però solo i romanzi storici possono ridare vita ai protagonisti, prendendosi la libertà di immaginarne pensieri e stati d’animo, quelli che spesso portano a prendere decisioni fatali.

 

Lei ha nel suo curriculum un numero nutrito di opere, riesce a indicare quella che secondo lei è ideale per entrare nella sua dimensione narrativa?

Viene naturale prendersi cura dell’ultimo “nato”, cioè “Dieguito e il Centauro del Nord”, che di fatto contiene i motivi per cui scrivo e racconto: ricostruzione storica, riflessioni amare su un passato irripetibile al confronto con un presente frustrante, rapporti umani e valore della memoria tramandata… Però il romanzo che forse mi rappresenta di più è “In ogni caso nessun rimorso”. Riguardo invece il libro in cui sono presente in ogni pagina, il più “autobiografico” solo perché è un lungo diario di viaggio spalmato in due o tre decenni almeno, è senza dubbio “La polvere del Messico”, in cui racconto il mio vagabondare sulle gambe, impolverandomi i piedi… Comunque, “L’elbano errante” è quello che definirei il “libro di tutta una vita”, lì ci sono davvero tutti gli aspetti e le motivazioni del mio narrare e il livello più alto che ho raggiunto in questo vecchio mestiere.

 

 

 

Non secondaria è la sua attività come traduttore. Una curiosità che ho sempre avuto è quali sono le difficoltà e le sfide di chi si cimenta in un simile compito e di quale traduzione, se c’è, è particolarmente soddisfatto.

Non certo secondaria se non addirittura “principale”, se consideriamo che ho superato i 120 titoli tradotti, di letteratura latinoamericana e spagnola. Tradurre mi appassiona, permette di penetrare nel testo e anche nella testa dell’autore, percepire mille dettagli e illudersi di conoscere i meccanismi più reconditi della narrazione… Le difficoltà stanno nelle infinite diversità della lingua spagnola che è parlata e scritta in almeno venti nazioni, in ciascuna delle quali fioriscono modi di dire e neologismi – nell’arco di cinque secoli – a tal punto che, per esempio, un romanzo o un racconto ambientato in una regione messicana dove i personaggi parlano nei rispettivi dialetti, risulta in buona parte incomprensibile a un abitante di Madrid… È il grande fascino della lingua spagnola, che si trasforma costantemente e mette a dura prova un traduttore. Ma dopo così tante traduzioni, intuisco anche ciò che non conosco, e comunque, a parte quei testi di autori ormai deceduti da tempo – è il caso dei diari e alcuni scritti di Ernesto Che Guevara, che ho avuto l’onore di interpretare in italiano – sono sempre in stretto contatto con scrittori e scrittrici ai quali chiedo consigli costantemente, e loro, da persone avvedute, capiscono quanto sia importante il rapporto personale con i propri traduttori, tanto che non poche e pochi sono diventati ormai amicizie consolidate. E se dovessi citare un libro che mi ha particolarmente appassionato nel tradurlo, è senz’altro la biografia di Pancho Villa scritta da Paco Taibo II – non a caso un mio vecchio e carissimo amico – e ricordo quei mesi di intenso lavoro con un particolare: ogni mattina mi alzavo dal letto pensando “che bello, un’altra giornata in compagnia di Pancho e Paco”.

 

I Social sono sempre più spesso terreno di condivisione ma anche di scontro. Qual è il suo rapporto con questa realtà?

Ho un rapporto puramente strumentale: li uso per annunciare uscite di libri, presentazioni, per diffondere recensioni, interviste… Un tempo commettevo l’ingenuità di scriverci riflessioni e considerazioni sulla realtà circostante, dovendo constatare che i social sono palestre di onanismo, affollate di ignoranti che aspettano qualsiasi occasione per scrivere idiozie. Come diceva Umberto Eco, un tempo questi poveracci facevano chiacchiere al bar, che però restavano circoscritte a quell’ambito, ora, le stesse chiacchiere insulse possono dilagare nello spazio infinito. Molto meglio il silenzio. Però… in questa epoca di censura capillare e propaganda ufficiale, devo ammettere che molte notizie le trovo in siti sulla rete, quindi, si tratta di farne, anche qui, un uso strumentale, ben consci che occorre saper discernere tra invenzioni e notizie utili.

 

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