Abbiamo intervistato Sylvia Zanotto e approfondito i temi del suo romanzo Come Nijisky
Intervista n. 229
È una delle voci più interessanti della poesia contemporanea e da poco ha esordito nella narrativa con Come Nijiski (Nardini, 2024): artista a tutto tondo e femminista convinta, Sylvia Zanotto ha concesso una nuova intervista, in esclusiva per i nostri lettori.
Perché un libro sulla maternità?
La maternità è un tema a me caro. Il mio secondo libro di poesie “Mater Maia”, iniziato durante la mia prima gravidanza (1988) e pubblicato solo nel 2019 s’incentra proprio sul cambiamento enorme che avviene nel corpo di una donna dal momento in cui viene concepito un figlio. Ma il corpo che cambia è solo ciò che si vede, anche se bisogna aspettare qualche mese, mentre l’umore, i pensieri, la psiche che cambiano rimangono un tormento interiore della donna che si appresta a diventare madre. Ed è proprio questo mondo interiore – denso di contraddizioni – che m’interessa indagare. La gag dell’esame di maturità (Mio Dio, sono incinta e non so di chi) girava ai tempi del liceo e mi rimase in testa. L’idea di scrivere un romanzo si è sviluppata nel tempo, ma solo dopo due gravidanze e la mia esperienza di vita e di danza ha iniziato a prendere forma. Le prime pagine le scrissi a un seminario di danza verso la fine degli anni 90. La prima stesura, quando facevo la barista, come la protagonista Sonia, in un bar di un circolino Arci di campagna. Per partecipare a un premio… e di premio in premio, senza mai vincerne uno, sono arrivata alla pubblicazione con un amico, che invece ha creduto in me: Ennio Bazzoni.
Questa era la cronologia del perché, ora cercherò di sintetizzare il cosa/come del perché.
La maternità nel romanzo è affrontata, cercando di contestualizzarla nel cerchio del tempo poroso che contempla le leggende e i miti. Lì sono stata chiamata dalle voci di donne che hanno vissuto prima di me, che mi hanno indicato come viaggiare nel tempo antico e presente (danza, flusso di coscienza). Lì ho trovato la compagnia senza essere giudicata (cosa che gli uomini fanno continuamente: ti guardano e ti mettono in una categoria, per come sei fatta fisicamente. La tua intelligenza viene giudicata attraverso quel filtro… e rimani sempre un corpo di donna e poi solo poi con un cervello di donna). E ho voluto scrivere di questo mondo che gli uomini non conoscono. Per questo le voci nel mio romanzo sono solo femminili. Non potevo mettere in bocca a un uomo le parole della maternità – Non volevo dare in pasto a Euripide, una seconda volta Medea… perché gli uomini ci masticano bene, noi donne, ma poi ci digeriscono male…
È la tua prima prova narrativa. Cosa ha spinto, te che sei un’affermata poetessa, a scegliere la forma del romanzo piuttosto che la lirica?
Mi sono laureata in letteratura americana con un professore specializzato nel racconto e nel romanzo. Il romanzo è sempre stato un contenitore intrigante per me – e da sempre adoro leggere romanzi. Più della poesia. La poesia spesso mi risulta difficile da leggere. Mentre se la scrivo, mi diverto un sacco. Adoro il poter muovermi modulando gli spazi bianchi. Nel romanzo questo non si può fare. Le pagine devono essere riempite di parole… Mi attraeva questa sfida… anche se io in parte ho tradito il romanzo… e ho fatto poesia e danza nelle sue pagine.
Quanto c’è di autobiografico in questo tuo nuovo lavoro?
Tutto e niente… La trama non è autobiografica. I luoghi hanno accolto parte del mio vissuto… La scuola in Belgio, Siena, Firenze… le protagoniste sono tutte pezzetti di me o di mie amiche, ricucite in personagge che non esistono. Le BIES GIRLS sono pura invenzione. Ma esistono nella mia infanzia e adolescenza quattro amiche, due coppie di sorelle che si erano date i nomi delle Piccole Donne. Mentre la danza, l’adolescenza, gli anni Settanta e tutte le sue illusioni – appartengono al mio tempo e alle mie esperienze di vita
Nel tuo romanzo le protagoniste vivono esperienze in differenti campi artistici eppure oggi, nonostante l’ampia possibilità di espressione offerta dal mondo contemporaneo, essere donna e artista è ancora molto difficile: secondo te perché?
Perché una donna ha ancora il senso della famiglia e soprattutto se fa dei figli, il suo corpo la chiama lì, a fare la madre. Per un uomo è diverso. Loro quando una donna diventa madre (nel momento in cui rimane incinta una donna è già madre) spesso nemmeno sanno che sono già padri. Non a caso le mie donne (Merilì e Evelyne) non lo dicono agli uomini che sono diventati padri. Questi sono impegnati in altri progetti di vita. Non sono all’altezza del compito. Invece le donne si sentono investite del ruolo e loro stesse spesso dovendo dividersi fra lavoro, arte e figli sono costrette a fare rinunce, e dovunque facciano tagli (se stanno meno con i figli o se dedicano meno tempo alla loro professione/arte) si fanno sempre molto male. Non dico che tutti gli uomini sono così. Nel romanzo c’è anche Marina che affronta la maternità con il proprio uomo, e sembra che lui sia capace di accettare la sfida, nonostante lei temesse di no inizialmente. Ma anche nel suo caso, è lei che professionalmente si orienta a fare spazio ai tempi del figlio in arrivo.
Nel tuo romanzo sono molte le figure femminili che colpiscono il lettore, mentre più rara è la presenza maschile: come mai?
Come ho già sottolineato, la maternità è delle donne, volevo che fossero solo loro a parlarne. Ma le mie donne non parlano solo di maternità. Parlano di molto altro. Volevo dare voce alle donne al cento per cento. Gli uomini hanno parlato per millenni anche al posto nostro… ecco ho voluto colmare il vuoto delle voci femminili – e spero non ci vorranno altri millenni a colmarlo questo vuoto!
Così ho raccolto la voce di Christ Wolf e non quella di Euripide per parlare di Medea. E come lei rivisito il mito. E dico con forza e veemenza, attraverso il corpo di una danzatrice incinta che Medea non ha ucciso i suoi figli. (è stato piuttosto il sistema patriarcale e il potere raggiunto attraverso mezzi illeciti e sanguinari)
Come è stato accolto, fino ad ora, il tuo nuovo romanzo?
Direi piuttosto bene. È un libro originale, forse un po’ di nicchia, è vero. Ma contemporaneo, attraverso il flusso di coscienza, la poesia, la danza. Nel modo in cui affronta il tempo. Saltando come Nijinsky. Intrappolandolo nelle clessidre. Sospendendolo con le clessidre orizzontali, nel hic et nunc delle improvvisazioni di danza… E tratta tematiche oggi molto attuali come il femminismo, il rapporto con il proprio corpo, con la propria mente, con gli altri; in contesti nuovi, di famiglie allargate, inclusive.
Mi è stato detto che è un libro che si fa leggere. Anche se spesso va posato per entrare nel divenire del pensiero.
Ah, qualcuno mi ha anche detto che non è un libro che si adatta alle esigenze di mercato e quindi va oltre il tempo presente.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Continuare a scrivere, poesia e prosa. Ho un paio di raccolte di poesie che spero pubblicare presto e sto lavorando a più di un progetto collettivo su monologhi / dialoghi di/fra donne del passato. E “Come Nijinsky” avrà un seguito. Come suggerisce l’incipit e il finale del romanzo, la nostra protagonista Sonia, colei che raccoglie tutte le voci, seguirà Nijinsky nei suoi diari e nella follia.
Intervista di Valentina Leoni
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