ACIDO SOLFORICO di Amélie Nothomb (Voland)
Recensione 1
Ho sentito parlare tanto di questa autrice e così, quando sono andata in libreria e mi sono trovata letteralmente faccia a faccia con questo libro, l’ho preso e l’ho portato a casa con me. È piccolino e si legge in un attimo ma… Mi ha dato grande, grandissima soddisfazione.
L’argomento è di grande attualità e mette a nudo quella che è la bruttezza dell’animo umano nelle sue varie sfaccettature. I reality sono all’ordine del giorno, oggi, ce ne sono davvero di tutti i tipi. Immaginatene uno che si chiama “concentramento” e fa rivivere in tutto e per tutto le atrocità dei veri lager nazisti, con tanto di kapò ed eliminazioni reali.
L’unica differenza è il pubblico da casa, il televoto e centinaia di telecamere… E così la Nothomb mette in evidenza una delle “malattie” della nostra società, una delle più frequenti, che finge di “deplorare la sofferenza – spettacolo, ma non perde mai una puntata”. È portata all’estremo, ovviamente, ma non si discosta poi così tanto dalla realtà. E fa arrabbiare, a volte. Come è possibile guardare quell’orrore senza fare niente? Quando una cosa fa odience, per brutta, disumana o insulsa che sia, non c’è niente da fare, lo spettacolo va avanti. È l’eterna lotta tra bene e male.
L’eroina del romanzo, Pannonique, cerca in tutti i modi di salvare se stessa e i suoi compagni da una fine atroce e lo fa in modo così forte e allo stesso tempo così dolce e delicato, che non puoi fare a meno di amarla. Come anche non puoi non provare disprezzo verso la kapò Zdena, per la sua stupidità e crudeltà. La decisione di darsi del “lei” da parte dei prigionieri, poi, l’ho trovata veramente fantastica. È l’unico modo per restare umani e civilizzati. E l’importanza del nome? In un luogo in cui tutti sono identificati con un numero, è il nome che fa la differenza, è l’unica cosa che ti identifica come persona.
È un romanzo davvero carino e mai irrispettoso, nonostante il terribile argomento di cui si occupa.
Recensione di Sara Pisaneschi
Recensione 2
Questo libro letto circa 10 anni fa, eccolo che si ripresenta! Di recente mi sono imbattuta in tematiche afferenti l’odio, il razzismo e il lavaggio del cervello delle masse. Non potevo non pensare alla splendida Pannonique che con questo nome pantagruelico comunica già un’immensità di nozioni e sentimenti aggrovigliati. Sono due i fatti che mi hanno fatto riprendere in mano il romanzo di Amélie Nothomb.
Il primo episodio è l’esperimento della prigione di Stanford volto a indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza.
L’esperimento prevedeva l’assegnazione, ai volontari che accettarono di parteciparvi, dei ruoli di guardie e prigionieri all’interno di un carcere simulato. Fu condotto nel 1971 da un team di ricercatori diretto dal professor Philip Zimbardo della Stanford University. I risultati ebbero dei risvolti così drammatici da indurre gli autori dello studio a sospendere la sperimentazione.
Nel romanzo della Nothomb, l’esperimento differisce nella modalità di scelta dei partecipanti. Si tratta di un reality show televisivo chiamato “Concentramento”, i partecipanti sono scelti a caso tra la popolazione, rapiti in raid e rinchiusi in un campo di concentramento.
In secondo luogo è subentrato un articolo che parlava del film “Skin” di Guy Nattiv, premiato di recente con l’Oscar e di prossima uscita nelle sale cinematografiche italiane. Qui, si racconta la storia di un’amicizia fra un ebreo e un ex neonazista, dove il neonazista, un ex skinhead assatanato riconosce di non capire da dove gli nasceva tutto quest’odio.
Come Zdena, una delle guardie, kapò crudele, accecata dall’odio che il suo ruolo le impone.
“Arrivò il momento in cui la sofferenza degli altri non gli bastò più: dovevano trasformarla in spettacolo.”
“Acido solforico” racconta l’esperimento denominato Concentramento: è un reality show. Le regole sono quelle che vigevano nei campi nazisti: gli autori dello show hanno trovato il format già confezionato. Come ogni produzione di reality, anche questa tiene il progetto segreto per far in modo che i partecipanti agiscano nel modo più realistico possibile. Una troupe televisiva comincia a ‘reclutare’ chiunque appartenga al genere umano, non si chiede più il consenso a nessuno e tutti vanno bene. I concorrenti/deportati vengono stipati in un camion dove ci sono persone che si disperano e telecamere pronte a catturare ogni singola immagine. Ad attenderli nei campi, altri concorrenti con il ruolo di kapò e ancora telecamere. Le condizioni di vita nel campo sono deplorevoli: i prigionieri sono mal nutriti, vengono insultati e picchiati quotidianamente dai “kapò”.
Ogni giorno, due prigionieri vengono scelti e uccisi in diretta. Una volta internati perdono i loro nomi, la loro libertà e le loro vite, tutto sotto l’occhio vigile delle telecamere. Al pari di ogni reality show anche Concentramento ha le sue eliminazioni/esecuzioni decise dal pubblico con il televoto.
Che dire? Quando i produttori di “Concentramento” danno al pubblico il diritto ai telespettatori di decidere quali prigionieri saranno uccisi, l’audience aumenta ancora. Pannonique comincia ad interagire con gli spettatori invitandoli a non guardare il programma, cercando in tal modo di ottenere la libertà per sé e gli altri prigionieri.
“L’ultima responsabilità ricade su colui che accetta di assistere a uno spettacolo tanto facile da rifiutare.” L’aspetto agghiacciante non è nell’impossibilità dei fatti, ma nel poter ipotizzare che questa eventualità si possa ripetere ancora una volta sotto gli occhi di tutti e senza che nessuno batta ciglio.
Acido solforico indaga anche i sentimenti d’amore vittima-carnefice. Zdena, la kapò spietata, s’innamora perdutamente di Pannonique, conosciuta nel campo col numero identificativo CKZ 114. Ma non può esaudire il suo desiderio:
“ – Nei fatti, quello che proponi è impossibile. C’è una clausola nei contratti dei kapò: se diamo le dimissioni prima di un anno, diventiamo automaticamente prigionieri.” Pannonique pensò che forse stava mentendo. In ogni caso non aveva i mezzi per verificare le sue affermazioni.
– Come ha potuto firmare un contratto simile?
– Era la prima volta che qualcuno mi voleva.
– E le è bastato?
– Sì.” (pag. 79)
Zdena vuole conoscere il vero nome di Pannonique ed è pronta a tutto pur di scoprirlo.
“Abitare delle sillabe che formano un tutto è una delle questioni incommensurabili della vita.
(pag. 67). Perché l’identità inizia dal nome.
La commedia nera che indaga sentimenti estremi e viscerali, con punte di grottesco, è la caratteristica distintiva della narrativa di Amélie Nothomb. scrittrice belga cresciuta in Giappone, autrice di culto soprattutto negli anni 90 con titoli come Igiene dell’assassino, Sabotaggio d’amore, Stupore e tremori, Metafisica dei tubi, Cosmetica del nemico. Poi sono arrivati romanzi come Acido solforico, La nostalgia felice, Riccardin dal ciuffo. Ora è in libreria con I nomi epiceni, pubblicato come gli altri da Voland con la traduzione di Isabella Mattazzi, in cui il tema del doppio e dello scollamento fra apparenza e realtà raggiunge l’apice a iniziare proprio dal titolo.
Acido Solforico è un romanzo che disorienta, irrita, esaspera, ma allo stesso tempo coinvolgente e capace di riscatto. Con Acido Solforico si riscopre l’importanza di avere un nome, di esistere in un tempo, occupare uno spazio. Non è un libro distopico alla 1984, ma una fiaba moderna che punta il dito contro ogni lettore che intenda lasciarsi mettere in gioco e gli domanda, con estrema serietà: “tu come ti saresti comportato?”. Una domanda che l’Olocausto e i genocidi del Novecento hanno già formulato in mille circostanze, ma a cui non si finisce mai di rispondere, e che è bene continuare a porsi.
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