ALLEGRA Philippe Rahmy

Allegra

ALLEGRA, di Philippe Rahmy (Ortica Editrice)

“Allegra” viene pubblicato in Svizzera e di conseguenza diffuso nel mondo francofono nel 2016. I lettori italiani dovranno aspettare il 2017 grazie alla splendida traduzione di Luciana Cisbani che ha saputo restituire in un’altra lingua il ritmo incalzante della narrazione. È sempre più noto a tutti quanto il lavoro del traduttore non sia un mero esercizio tecnico ma una vera e propria sfida creativa. La ricostruzione dell’opera in un’altra lingua richiede doti e sensibilità che assomigliano a quelle dello scrittore. In questo caso siamo davvero di fronte a un capolavoro di traduzione. Che traduce un altro capolavoro, appunto!

ALLEGRA Philippe Rahmy Recensioni libri e News UnlibroPrima di addentrarci nell’opera di Philippe Rahmy, vorrei spendere due parole sulla sua breve vita. Purtroppo ci ha lasciati a ottobre 2017 (a febbraio era uscito “Allegra” in italiano). La malattia delle ossa che lo rendeva fragile, se lo è portato via. Storico, filosofo, egittologo, per motivi di salute ha completato un percorso universitario letterario più breve. Scrittore, poeta, saggista è vincitore di diversi premi letterari, è pubblicato in Francia, Svizzera e negli USA. Grande viaggiatore viveva fra l’Europa e l’Argentina ed era sempre stato attratto dalla fragilità dell’essere umano reso ancora più fragile dalle conseguenze della vita.

 

Nel suo caso la malattia, in altri casi l’estrema difficoltà del vivere spicciolo che annienta le risorse individuali riducendo l’essere umano a una sorta di animale in preda alle dipendenze e alla follia. Romanzo breve o racconto lungo, “Allegra” è uno scorcio di vita quotidiana attraverso il quale l’autore cerca di formulare una riflessione sociale e politica.

L’azione si svolge a Londra, nel 2012, mentre la città si prepara ad accogliere le Olimpiadi. Il personaggio che ci guida in prima persona per le vie di Londra è Abel, figlio di immigrati di origine algerina immigrati nel Sud della Francia. Dopo essersi laureato in matematica, Abel va a vivere in Inghilterra perché in Francia “gli arabi laureati non vengono assunti”.

Un professore nonché banchiere e amico lo introduce nel mondo della finanza inglese, dove grazie a un suo algoritmo fa soldi a palate. Tutto procede a meraviglia anche nel privato: conosce Lizzie, vanno a vivere insieme e nasce Allegra. Il nome lo sceglie Lizzie, donna colta e amante delle lettere, perché ‘allegra’ è la parola romancia usata nel Cantone dei Grigioni per dire buongiorno.

 

Nel racconto che procede a balzi avanti e indietro, fra un prima e un dopo, si capisce che il momento clou è proprio la nascita della bambina, che porta un nome meraviglioso ma che, ahimé, non riesce a evitare la catastrofe. Nel marasma degli eventi negativi, Abel si ritrova solo ad affrontare i suoi fantasmi, a cercare di sopravvivere nonostante tutto, fra alcol, disoccupazione, separazione e perdita.

I suoi incubi non dipendono solo dalla depressione post-partum, o dalla crisi matrimoniale; nemmeno dalla perdita del lavoro, dai problemi legati all’immigrazione e alla povertà: sono gli incubi di un uomo che viene ritratto nel ventunesimo secolo con la forza verista di un Zola. Lo dice bene Daniel Defoe, nella citazione iniziale ripresa da Robison Crusoe: «proprio il male che cerchiamo di evitare di più si trasforma nella porta della nostra liberazione». In queste parole si racchiude il senso del libro e quella porta si chiama vita, esperienza e ricerca.

Ricerca di sé in un mondo di animali dove tutto ci porta ad essere animali, schiavi del piacere, del dolore e della macchina sociale. «Il leone ha ruggito prima dell’alba» (p.7). Non è casuale che Abel e Lizzie abitino proprio accanto allo zoo; anche la professione dei genitori di Abel, macellai mussulmani, ci riporta a questa metafora. Ricorrere alla figura dell’animale è una strategia dell’autore per poter affrontare il tema delle violenze fatte all’uomo. Rhamy arriva persino a paragonare il protagonista al cavallo in agonia che Nietzsche abbracciò a Torino, in uno slancio di follia e compassione, episodio ripreso dal regista Béla Tarr (Il cavallo di Torino, 2011).

È una lotta dura che intraprende Abel per non soccombere alla sua follia e a quella degli altri che lo circondano: «Ordino un tè. Scotta, mi calma, dissolve il fastidio che provo davanti a questi uomini e a queste donne bardate da religione. Mi impregno dell’atmosfera che circola di quartiere in quartiere, di città in città, di paese in paese. La respiro, e più mi riempio degli altri, più divento quello che sono sempre stato, un uomo incapace di riconoscersi allo specchio.» (p. 99).

 

«Mussulmano a intermittenza» (p. 101), Abel si ritrova a ricercare la propria identità in un mondo che gli si è frantumato davanti, a sentirsi “libero, ma senza amore” (p. 104) e poco sostenuto nella battaglia per la vita. Pensa che sia proprio l’ora di farla finita: «l’uomo che sono diventato mi fa vergognare. È doloroso rimanere in sua presenza» (p.130). Entrato in vortice di paure, nichilismo, terrorismo da quattro soldi, il protagonista è ora di fronte a un bivio nuovo. Sceglie. È la capacità di scegliere la salvezza.

Philippe Rahmy riesce a muoversi con grande agilità felina nei meandri della nostra società contemporanea dove finanza, immigrazione e terrorismo creano dolori, paure e violenze collettive. Ma chi manovra? Senza fornire risposte, dando solo spunti di riflessione, in un tempo globalizzato, la metafora della macelleria s’impone spavalda.

Si disegna un attentato per destabilizzare i mercati. Indagando i legami complicati e pericoloso fra economia e terrorismo, Rhamy prende in mano la materia grezza che la nostra epoca ha prodotto e cerca di penetrarla, creando un’opera che sia in grado di dare forma al marasma e a trascendere il contesto.

Una fiction contemporanea, potente, che se ne infischia dei canoni classici delle strutture narrative e che riesce a far toccar con mano e sentimenti la matrice della realtà, le sue strutture profonde.

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