ALTROVE, FORSE, di Amos Oz
In un punto imprecisato dello Stato d’Israele, in un tempo indefinito, come sospeso e immobile, di cui capiamo di essere appena dopo la seconda guerra mondiale dai discorsi indiretti dei personaggi e dal fatto che non c’è ancora la TV, (si parla spesso e solo di ascoltare la radio), è ambientato questo romanzo di Amos Oz.
Tanti personaggi, nessun protagonista. Sullo sfondo della descrizione iniziale del territorio arido, che richiama certi paesaggi lucani di argillosi calanchi accecati dalla luce e dal calore del sole, si svolge la vita degli abitanti del piccolo microcosmo che è il kibbutz di Merudat Ram, di fronte ad un nemico invisibile, sempre evocato e intravisto (suggestione da “Deserto dei Tartari“).
Vero protagonista del romanzo è proprio il kibbutz. In questa prospettiva si inserisce la precisa, quasi didascalica, descrizione della composizione urbanistica, dell’organizzazione sociale, dei ruoli e dei compiti, della vita quotidiana nel kibbutz. Simpatica la scena di approccio adolescenziale tra Ido e Hasia durante il comizio del primo Maggio e la conversazione degli adulti, quasi ioneschiana e senza segni grafici contrassegnanti i dialoghi, la sera dello stesso giorno, mentre fuori cade una pioggia scrosciante.
La prosa è lineare, pacata, piacevolmente monotono fluisce il racconto, senza sussulti nemmeno nel finale, che turba il ritmo ordinario, per far presagire che, dopo, nel kibbutz e per i suoi abitanti la vita continuerà a scorrere come prima.
Recensione di Antonio Rondinelli
Commenta per primo