APPUNTI PER UN NAUFRAGIO Davide Enia

APPUNTI PER UN NAUFRAGIO, di Davide Enia (Sellerio)

Dei libri mi hanno sempre affascinato le strade che percorrono per giungere a me. Spesso vengono intenzionalmente scelti; altre volte arrivano grazie a suggerimenti e consigli oppure per mera casualità.

Per questo romanzo, galeotto è stato il tragitto casa-lavoro sui mezzi pubblici, dove sovente è più facile imbattersi in capi chini sugli smartphone che sopra pagine di carta.

Accanto a me si siede un adolescente e si mette a leggere un libro. Quando scorgo uomini che leggono scatta quasi sempre un colpo di fulmine “mentale”: vengo rapita per qualche secondo da questa immagine, quasi erotica. Il ragazzo della metro, però, potrebbe essermi figlio e allora mi sembra opportuno concentrarmi sul tomo. Ed è quello che faccio. Sbircio la copertina, qualche frase qui e là. Con la matita segno il titolo sul libro che sto leggendo io.

«Appunti per un naufragio», di Davide Enia.

Non conosco il romanzo, non conosco l’autore e mi rammarico, ma subito dopo mi assolvo: anche mettendoci tutta la buona volontà, anche vivendo cento altre esistenze, non riuscirei mai a colmare tutte le lacune letterarie che mi porto addosso.

Questo libro è un regalo inaspettato.

Al centro Lampedusa, tutto intorno l’Africa e l’Europa senza più confini. Davide raccoglie le voci e le testimonianze di amici, dei residenti, degli uomini della Guardia Costiera, del personale medico, che vivono sulla propria pelle la disumana tragedia degli sbarchi. Non c’è spazio per la retorica, non troverete nemmeno accuse alle istituzioni e non si propongono soluzioni per arrestare il fenomeno e l’emergenza continua. C’è la narrazione toccante e sofferta di chi decide di non voltare le spalle, di chi sceglie di non ignorare i barconi che affondano e che riversano in mare centinaia di corpi di uomini, donne (“manco all’animali ci fanno le cose che fanno alle donne”), adolescenti, bambini, neonati. A volte ancora vivi, più spesso già morti, quasi tutti senza un nome da tramandare.

In questo intreccio di voci drammatiche e commoventi, s’incastra la parte autobiografica del libro, nella quale Davide esplora il suo rapporto con il padre, ex cardiologo in pensione, da sempre parco di parole e carico, invece, di troppi silenzi. Entrambi assistono alla malattia di zio Beppe, perché le tragedie sono così, colgono chiunque, africani e italiani, in mare aperto o nell’intimità di una famiglia. E siamo tutti, indistintamente, in cerca di un approdo da dove ricominciare o in cui fermarsi.

È un libro che non ammette distrazioni, davvero. Ogni parola va soppesata, sezionata e, infine, ricordata.

«Per me nessun essere umano è diverso dagli altri. Possiamo essere neri, verdi o rossi, ma dentro abbiamo tutte lo ossa bianche».

Recensione di Chiara Castellucci

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