Aubrey e Maturin, La serie di Patrick O’Brian
Solo dei pazzi possono pensare di attraversare un oceano sopra poco più di un guscio di noce, che un’onda può spazzare via in un istante, che una roccia a pelo d’acqua può far affondare, che troppo poco vento può far seccare al sole e che troppo vento può disalberare. Dei pazzi, o dei marinai.
Per fortuna, il marinaio non è solo: c’è il suo capitano. Il capitano di una nave è quanto di più simile a dio tu possa trovare la fuori in mezzo al mare. Della sua barca e dei suoi uomini conosce ogni cosa. La sua parola è legge. Dispensa premi e impartisce punizioni. Non puoi fuggire. Ovunque andrai, sentirai la sua voce. Se vivrai o morrai, dipenderà dal momento in cui, lui, il capitano, deciderà di ammainare le vele. Eppure, mai, nessun altro ufficiale è così vicino ai suoi uomini. Si è tutti sulla stessa barca: se affonda, affondiamo tutti. Anche il capitano.
Nessuno è più bravo del comandante Jack Aubrey, detto il fortunato. Nessuno meglio di lui, sa comprendere l’umore del mare, governare la paura, sentire la tensione negli alberi, tenerla dallo scarrocciare, annusare gli scogli, prendere la marea.
Gli uomini di mare come Jack lasciano le famiglie nel pieno dell’infanzia e iniziano a servire a bordo delle navi ad undici anni. Piangono silenziosi nelle loro brande la notte. Se sono bravi, e fortunati, e sopravvivono alle tempeste, alle battaglie a alla loro stupidità, dopo sei anni possono fare l’esame per ufficiale. Il mare, la nave, sono la loro vita, la loro scuola, la loro bara. Le cicatrici il loro grado. Glu uomini di mare, hanno il mal di terra.
<<Gli occhi della mente le si riempirono dell’immagine di Jack Aubrey, alto, diritto, allegro, traboccante di vitalità e di affetto aperto e schietto, i capelli biondi che ricadevano sulla spallina di capitano di vascello e la faccia colorita e segnata dalle intemperie distesa in una risata piena di allegria; vide la brutta cicatrice che gli correva lungo una guancia, vide ogni particolare della sua uniforme, la medaglia conquistata nella battaglia di Abukir e la pesante spada ricurva che il Fondo Patriottico gli aveva donato per l’affondamento della Bellone. Gli occhi celesti e brillanti quasi scomparivano quando rideva, non ne restavano che due fessure, ancora più azzurre nel volto arrossato dallo scoppio d’ilarità. Con nessuno lei si divertiva tanto… nessuno aveva mai riso come lui.>> […]
<<In terraferma , naturalmente, è molto diverso, lo si potrebbe scambiare per una persona come le altre >>
Essere solo al comando è dura. Per fortuna, Jack Aubrey ha Stephen Mauturin, medico di bordo, che non ha nulla in comune con il capitano: diplomatico, naturalista, un po’ folle. Un contraltare perfetto per ironia, comicità, e suspance. Quei due, sono indispensabili l’uno all’altro, come Sherlock a Watson, ma soprattutto come Kirk a Spock. Solo la musica, suonata sul mare, durante le lunghe traversate, li accomuna.
<<Scrivendo della Royal Navy del diciottesimo secolo e dell’inizio del diciannovesimo è facile essere inadeguati; è impegnativo rendere pienamente giustizia al soggetto, giacché l’improbabile realtà supera spesso l’immaginazione. >>
Il capitano Aubry ed il medico Mauturin, sono testimoni di un’epoca dove la vita era tanto preziosa quanto breve. Grazie allo studio approfondito dei veri diari di bordo,
Tutti i libri sono un’unica lunga storia ambientata all’inizio del 1800, ed il capitano tratteggiato da O’Brian incarna tutti i migliori capitani esistiti, prelevati direttamente dai reali diari di bordo dell’epoca, dando vita ad un personaggio unico, impossibile, ma anche così autentico. Il primo libro “Primo comando” viene scritto nel 1969. L’ultimo, “L’ultimo viaggio di Jack Aubrey”, è poco più di un frammento, pubblicato per ovazione, nel 2004, 4 anni dopo la morte dello scrittore.
L’avventura non è mai stato il mio genere letterario preferito. Rendo però onore a Patrick O’Brian, l’unico in grado di regalarmi veri momenti di evasione, durante uno dei periodi più brutti della mia vita. Sono ingiusto a chiamarla solo evasione. Ho letto tutti i libri della serie, li ho assaporati, divorati. Mi hanno incuriosito e mi hanno fatto riflettere. Tutto questo va oltre la semplice evasione, e non dimenticherò mai Jack e Stephen. Come non dimenticherò mai quel venerdì pomeriggio. Entrai nella mia libreria con la chiara intenzione di evadere. Con la mia proverbiale decisione, dissi al mio librario “voglio andar via, voglio un libro leggero, avvincente e che riesca a trasportarmi via da tutto. Mi deve proprio portare via da qui”. Con la mano sulla bocca –per non urlare – si mise a guardare in giro per la sua libreria. Conrad? No, troppe tenebre. London? troppo freddo. “Voglio sentire il vento tra i capelli” gli dissi. Che cazzo di cliente deve aver pensato.
Allora chiese l’aiuto del pubblico, nello specifico della libraia master: donna dall’età indefinita, accanita fumatrice, dea della conoscenza, che tutto sa e che soprattutto decide lo sconto. Mi guarda. Poi guarda il mio caro librario per un tempo indefinito: diresti che stavano comunicando in qualche modo.
Angolo in fondo a sinistra. Neppure sullo scaffale, ma sotto una pila, tira fuori un libraccio, e mi dice “Ti piace andare per mare?”.
Recensione di Antonio Di Cesare ( Binari di Libri )
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