Augustus: l’ineffabile solitudine del potere
AUGUSTUS, di John Williams
Recensione 1
In forma epistolare, il libro ripercorre la vita e la carriera politica di Ottaviano Augusto, signore di Roma alla quale donò pace e prosperità; nonostante il romanzo si soffermi sui successi e sui trionfi pubblici di Augusto, il nucleo della narrazione rimane la storia di un uomo al quale non è concesso mostrare paura o rivelare sogni, un uomo solo, come dice lui stesso alla sua antica nutrice “Ho dato a Roma una libertà di cui io solo non posso godere”.
Dalla voce dei molti personaggi che animano il romanzo emerge il ritratto di un uomo che passa dalle convinzioni giovanili all’impeto e alla sicurezza della maturità fino al fatalismo della vecchiaia, attraverso il sacrificio degli affetti più cari e la convinzione che la filosofia e lo studio possano essere un rifugio per la mente umana gravata da ansie e responsabilità impossibili da condividere.
Molto efficace anche la ricostruzione dell’ambiente politico e sociale della Roma Augustea, descritta come una spietata e sfavillante metropoli popolata da intriganti, affaristi e sfruttatori senza scrupoli nella quale la lotta politica si persegue senza esclusione di colpi, sia che si tratti di combattere Antonio e la sua concezione “orientaleggiante” di stato, sia che si tratti di fronetggaire i senatori conservatori che minacciano di far ripiombare la Repubblica nel cupo clima delle guerre civili; eppure Roma fu anche brillante centro di diffusione artistica la cui vita culturale non aveva pari nel resto del mondo, fu una città straordinaria e il romanzo ne fa emergere tutta la sua eccezionalità.
La prosa di Williams è elegante e sobria, ancora molto scorrevole nonostante il romanzo non sia più recente: una lettura di classe per gli amanti dei romanzi storici e dei ritratti psicologici nei quali Williams si rivela, ancora una volta, un vero maestro.
Recensione di Valentina Leoni
Recensione 2
“Forse allora non sarei riuscito a dirlo con chiarezza, ma sapevo che un solo destino m’attendeva: quello di cambiare il mondo.”
Vi presento Gaio Ottaviano Augusto imperatore romano protagonista di questo meraviglioso romanzo epistolare di John Williams.Pubblicato nel 1971 è probabilmente meno famoso del celeberrimo Stoner, ma è altrettanto potente.Non è semplicemente un testo storico, è anche e soprattutto un’attenta, acuta indagine nell’animo umano, abilità che avevo già apprezzato con Stoner.La storia inizia con l’assassinio di Giulio Cesare, a Roma nel 44 a.C., Ottaviano aveva solo 18 anni e si ritrova erede di un impero. “Lo consideravo un giovane simpatico, nulla di più, con un viso troppo delicato per reggere i colpi del destino, dei modi troppo diffidenti per riuscire a imporsi, e una vocina troppo flebile per parlare come un condottiero spietato.…e invece Ottaviano si dimostra un degno erede di Cesare, tanto da meritare l’appellativo di Augusto, padre del Grande Impero Romano.Con lui Roma vive il suo più grande periodo di prosperità, giustizia e soprattutto pace, 40 anni passati alla storia come la Pax Romana.
Non mi voglio soffermare sull’Ottaviano abile stratega, grande uomo politico, valoroso condottiero. Quello lo lascio ai libri di storia. Ciò che mi ha conquistato della lettura è stata la figura di un uomo con le sue fragilità, i suoi mille dubbi, le sue paure, da una parte, e la sua grande immensa umanità e saggezza dall’altra. Augusto è una persona complessa, prima di essere imperatore è uomo, marito e padre, consapevole però del suo ruolo, delle sue responsabilità, del suo potere di cui non abusa mai.“…solo chi disprezza il potere, può farne un uso così accorto” Williams è stato grandioso nell’amplificare la grandezza di questo personaggio umanizzandolo e offrendoci un ritratto di lui indimenticabile e incisivo. “Io sono un uomo, debole e sciocco come la maggior parte degli uomini; se ho un vantaggio sui miei simili, è quello di esserne consapevole, e quindi di aver compreso le loro debolezze, senza la presunzione di trovare in me più forza e più saggezza di quanta ne abbia riscontrate negli altri. E questa consapevolezza è stata una delle fonti del mio potere.”
Ottaviano ci viene presentato, raccontato, criticato, osannato, divinizzato attraverso le lettere e i diari scritti da chi gli ha vissuto accanto, figure note, Mecenate, Cicerone, Marco Aurelio, Marco Antonio, Ovidio, Virgilio e altre meno note, tutte però testimoni delle sue gesta. Tanti sono i punti di vista quindi che ci propone Williams, molti femminili, tra tutti Giulia, la figlia, una donna forte, fiera, sacrificata dal padre per l’altra sua figlia, quella Roma che è stata per lui gioia e dolore, gabbia e libertà, successo e tragedia. “Ho donato a Roma una libertà di cui solo io non posso godere” Ottaviano prende la parola solo nelle ultime 50 pagine.
E’ lui che chiude la sua storia, la sua vita, mettendo tutti i puntini sulle i, togliendosi diversi sassolini dalla scarpa, cercando di spiegare molte sue decisioni, ma senza particolari rimpianti perché consapevole di aver agito sempre per quello che era e doveva essere il bene più grande: l’impero, Roma. “Perché Cesare Ottaviano è Roma: ed è questa, forse, la sua più grande tragedia” Una Roma descritta con tutte le sue tinte, la sua luce e il suo buio, il fasto, la potenza e la cultura insieme alla corruzione, alle lotte di potere, agli interessi personali di scaltri personaggi.
Una Roma che poco si differenzia dal mondo di oggi. “Diciamo a noi stessi di essere diventati un popolo civilizzato, e con pietoso orrore ricordiamo i tempi in cui un oscuro dio delle messi pretendeva in sacrificio un essere umano, in cambio della sua protezione. Tra la brutalità che sacrificava un innocente a una paura senza nome e una civiltà che ne sacrifica migliaia in nome dell’interesse, non trovo grande differenza.” Non so quanto di vero e quanto di romanzato ci sia in questo libro e sinceramente poco mi importa.Non è una biografia, non è un saggio, è semplicemente un romanzo che racconta di vita, di lotta, di amore, di amicizia e di morte.
Cesare Ottaviano Augusto muore a 77 anni, dopo aver avuto tre mogli, aver dato in sposa sua figlia per tre volte, dopo aver visto morire tutti i suoi amici più cari e costretto a lasciare Roma nelle mani dell’unico erede che non riteneva degno, Tiberio. E dopo due millenni, ai miei occhi, conserva totalmente e indiscutibilmente la sua grandezza! “Fu il destino ad afferrarmi, quel pomeriggio ad Apollonia, quasi sessant’anni or sono: e io scelsi di non sottrarmi al suo abbraccio” Buona lettura!
Recensione di Cristina Costa
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