BADAWI, di Mohed Altrad
Badawī significa “abitante del deserto”, nomade che vive in tribù dedite alla pastorizia in Africa e in Medio Oriente; spesso questo termine viene usato per definire una persona incivile e rozza. Badawi o beduino ha una connotazione negativa, di sottrazione nei confronti delle altre popolazioni stanziali. Di recente i beduini hanno iniziato a vivere stabilmente in luoghi prescelti, ma la loro condizione è spesso di estrema povertà al limite della sopravvivenza. Chi non ha niente è perseguitato fino alla morte dai potenti della comunità.
Badawi è la storia vera di Mohed Altrad. Figlio di una madre bambina, denigrata e maltrattata da tutti, violentata ripetutamente da un essere ripugnante, violento e senza alcun connotato umano: uccide il fratello maggiore del nostro autore-protagonista e la stessa sorte sarebbe potuta toccare a lui se non si fosse difeso con tutte le sue forze, astuzie e caparbietà. Un destino che sembra una favola raccontata da Sherazade, nei Racconti dei Mille e Una notte.
Una storia che fa piangere sin dalle prime righe dove un bimbo solo assiste alla morte della mamma, poco più di una fanciulla, incapace di continuare a vivere in un mondo dove nessun cuore a parte quello del proprio figlio si era aperto a lei. Soccombe, ma suo figlio, no. Dotato di una forza incredibile, s’intestardisce di voler studiare e di andare contro il suo destino. Una storia davvero incredibile. Qui il nome cambia: nel deserto un’identità, in Occidente un’altra.
I nomi determinano il carattere. Proprio così. La sua voglia di imparare lo salverà e lo porterà in Francia, dove «aveva cambiato il suo nome al momento di iscriversi sui registri dell’università. Invece di Maïouf, “l’abbandonato”, aveva scritto Qaher: “il vittorioso”.» (p.108) Il vittorioso e l’abbandonato. Dal deserto alla città, dalla sabbia al cemento, da un futuro di pastore beduino a un futuro di ingegnere e imprenditore. Altrad in “Badawi” non racconta come sia diventato un imprenditore di successo e come in parallelo si sia fatto una famiglia, diventando padre di cinque figli.
Ma in Francia è diventato un esempio di buona economia importata dalla Siria. Non dalla rotta dei migranti. Badawi è arrivato in Francia con una borsa di studio. Per merito. Ma con estrema umiltà lui parla del suo successo e della sua famiglia. Ed è in questa sua estrema semplicità che ha colpito i francesi: il suo esempio viene insegnato a scuola e il suo romanzo letto nei licei. È un peccato che non sia stato adottato anche in Siria, nelle scuole dei villaggi dove accedono i beduini e dove un tribunale dei minori dovrebbe arrestare e punire i violentatori di bambine e i padri assassini dei propri figli illegittimi.
Ma la giustizia si perde nel vento e nella sabbia che per millenni ha graffiato il viso ai pastori e visto le donne morire bambine, diventate madri senza averne l’età. Un fischio nel vento che diventa un lamento. Un grido senza voce. Come l’acqua nel deserto. «Fadia si mise a parlare e raccontò che l’acqua della sorgente deve battersi per esistere, contro la sabbia e contro le pietre che la respingono verso la terra, contro il sole.» (p. 103) e che nonostante tutto ‘è limpida e buona da bere’. Così siamo noi, se come Maïouf-Qaher, rimaniamo fedeli alla nostra natura e la manteniamo limpida nel tempo e nelle relazioni. Se tutti fossimo acqua ‘buona da bere’, forse tutti noi saremmo capaci di costruire famiglie e un’economia ecosostenibile. Prendiamo esempio. Grazie Badawi. E grazie alla traduttrice, Paola Casadei per la sua fedele versione italiana
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
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