BAMBINO, di Marco Balzano (Einaudi – ottobre 2024)
Mattia è un giovane triestino, figlio di un orologiaio taciturno e di una madre morta troppo presto, non prima di rivelargli di non essergli biologicamente madre. La Grande guerra è appena terminata, e Mattia sente il bisogno viscerale, che diventa presto un’ossessione, di trovare la donna che lo ha partorito. Nessuno sembra in grado di aiutarlo, così lui si lascia catturare dal fascino degli squadristi, che scorrazzano indisturbati per la città, al grido di Trieste agli italiani, cacciamo tutti gli Slavi. E non vanno tanto per il sottile queste camicie nere, che in nome di Mussolini e con il complice silenzio delle forze dell’ordine compiono le più terribili nefandezze, contro gli Slavi o i contadini e gli operai che organizzano gli scioperi di quello che i libri si storia chiamano il biennio rosso.
Il vuoto di Mattia lo divora da dentro, e per cercare di riempire lo spazio lasciato dall’ abbandono, picchia sempre più duro, ricevendo la stima degli uomini della Milizia e i disprezzo del padre e dei suoi vecchi amici sloveni.
Solo quando parte per la guerra diventa consapevole di quanto il suo comportamento sia stato infantile, da bambino, come lo avevano ribattezzato i miliziani, un fascista spiantato che sognava una madre.
La guerra è il banco di prova della sua fede fascista; nelle difficoltà, durante le faticose marce in montagna sotto la pioggia battente, il pensiero di Mattia va al duce: “ad ogni salita l’immagine del duce diventava più odiosa. Dov’era? Cosa sapeva di noi? Quanto gliene importava?… Prima mi aveva illuso che essere fascisti volesse dire spadroneggiare e fare la bella vita, e ora mi mandava a morire come un mulo qualunque in un posto dove nessuno avrebbe mai più ritrovato il mio corpo”.
Mattia è senza pace come la sua città, Trieste, che ha visto susseguirsi in mezzo secolo divide austriache, fasciste, naziste, titine, americane, e ogni volta qualcuno subiva violenze e soprusi. Ad ogni cambio di regime Mattia per evitare la morte si propone come delatore, ma non può andargli sempre bene e prima o poi qualcuno gli presenterà il conto.
Indimenticabile il personaggio del padre, antifascista convinto, ma fedele oltre ogni ragionevolezza al legame di sangue verso quel figlio che solo molto tardi comprende la grandezza del suo amore.
Impossibile non amarlo, con il suo amore per gli orologi che ripara, il suo affetto burbero che solo nella vecchiaia si lascia andare a gesti concreti, la sua infinita pazienza con quel figliolo così difficile.
Romanzo duro, introspettivo, che porta il lettore a rivivere le tragedie del nostro confine orientale.
Recensione di Maria Teresa Petrone
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