BELLE PER SEMPRE, di Katherine Boo
Un muro ricoperto, a fini pubblicitari, da certe piastrelle italiane dall’evocativo nome di Belle-per-Sempre divide i terreni dell’aeroporto di Mumbai dalla baraccopoli di Annawadi dove vive una disperata umanità che, però, non vuole rinunciare alla dignità, ai sogni e alla lotta per un futuro migliore; così, il giovane Abdul cerca un riscatto dalla sua condizione di paria rovistando nella discarica e rivendendo rifiuti, dimostrando un raro talento da commerciante, Manju rifiuta la mentalità affarista e spregiudicata della madre, che la vorrebbe sposa in uno dei tanti matrimoni combinati come quello che è costato la vita alla vicina di casa, per dedicarsi a insegnare inglese ai bambini dello slum.
Il muro di piastrelle nasconde, anche in senso metaforico, l’India dei ricchi e l’India dei poveri, il paese della tecnologia e dell’aeroporto con i suoi alberghi di lusso, da quella di Annawadi dove le acque inquinate che dissetano i disgraziati che la affollano uccidono nell’indifferenza dell’opinione pubblica, molto più preoccupata per la sorte delle zebre.
Romanzo-reportage che unisce la serietà del documentario alla precisione dell’inchiesta, mira a fare conoscere gli aspetti meno affascinanti dell’india del nuovo corso, protesa verso la modernità e affascinante come i lustrini di Bollywood ma spaventosamente dilaniata dalle disuguaglianze sociali, dal dissidio interno tra l’esigenza di modernità avvertita dai giovani e l’aggrapparsi alle tradizioni dei più vecchi, che dal processo di modernizzazione si sentono tagliati fuori e che vedono nel retaggio l’unico modo per identificarsi.
Consigliatissimo, anche perché è uno dei pochi libri che raccontano l’India contemporanea.
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