BENIGNI sul CANTICO DEI CANTICI supera il limite
Eppure si è superato il limite …
Troppo dispersivo, ampolloso e, alla fine, fin troppo generoso nei giudizi su alcuni ospiti che, a parte essere strapagati, sono diventati ripetitivi e, tutto sommato, banali.
È il caso di Roberto Benigni, del quale abbiamo ammirato il talento non comune in altre occasioni, quando, ad esempio, declamava La divina commedia. Ha fatto scempio, però, del Cantico dei Cantici. Ha esordito osservando che “Il Cantico è la canzone d’amore più antica del mondo tra un uomo e una donna» … ma «comprende ogni tipo di amore, anche tra donna e donna, tra uomo e uomo, l’amore per tutto».
Benigni ha preteso di presentarsi come l’esegeta attento che ha recuperato la versione filologica rispettosa dell’originale; tuttavia, ne ha alterato totalmente il senso. “Spero che rimaniate travolti dall’incanto” … “I baci della tua bocca sono il tuo amore che mi morde più del vino, fragranza soavissima è il tuo odore e il tuo nome è desiderio… La sua mano sinistra è sotto la mia testa, con la destra mi stringi nell’amplesso”.
Che si tratti di poesia è indubbio. Tutto bene, salvo un particolare: non ha saputo resistere al fascino del “politicamente corretto”. Mi spiego meglio. L’amore e la sessualità non sono etichettabili in confini rigidi: ognuno è libero di viverla, con pari dignità, secondo la propria naturale sensibilità. Che sia eterosessuale o omosessuale non fa differenza alcuna.
Discriminare in tal senso è, prima ancora che anacronistico, una certificazione di miseria spirituale. Le ghettizzazioni hanno prodotto fin troppi danni. Tuttavia, pensare di reinterpretare il Cantico dei cantici come ha inteso fare Benigni è una palese forzatura.
L’esegesi scientifica della Bibbia ha un presupposto ineludibile: i testi sacri hanno una genesi e un’evoluzione storica: per comprenderli occorre conoscerne la preistoria, il genere letterario e l’opera di elaborazione di quelli che hanno raccolto e messo per iscritto le fonti orali o gli scritti precedenti. Insomma, occorre capire il significato che l’autore intendeva comunicare, stabilire con ragionevole certezza quale fosse stato il suo intendimento.
Questo processo è fondamentale, poiché il lettore di altre epoche, culture e contesti sociali è tendenzialmente indotto a rapportare quel testo con il proprio orizzonte interpretativo. Da qui il rischio di ricavare narrazioni del tutto fuori luogo: invece di fare “esegesi” (dal greco “ex-ago”, “interpretare”), si scivola maldestramente nell’attribuzione di significati che esso non ha e che sono determinati dalla personale interpretazione soggettività del cd. “esegeta di turno”.
Questo è il macroscopico errore di Benigni, che in nome della spettacolarizzazione del testo ne ha calpestato la genesi. In conclusione: non sono in discussione l’universalità e le molteplici forme di amarsi. In qualunque modo ci si ami, tutto è degno di rispetto.
Discutibile, invece, e non poco, la pretesa di leggere quello che, in quel testo, non è scritto. In questo caso, la rincorsa al “politicamente corretto” si è trasformato in uno svarione “biblico”. Benigni, che pure ci ha regalato perle in altri tempi, si è dimostrato un provocatore, che cavalca la corrente e, alla fine, cerca l’applauso facile. Tanto più facile quanto maggiore è l’ignoranza dei testi religiosi dei quali si discute.
Niente di nuovo, peraltro. Ormai, tutti possono parlare di tutto.
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