CARO PIER PAOLO, di Dacia Maraini (Neri Pozza – marzo 2022)
Recensione1
È la poesia il segreto della forza di Pasolini.
Dacia Maraini, figlia dell’orientalista Fosco Maraini e di Topazia Alliata di Salaparuta, discendente da una nobile famiglia siciliana, era molto legata a Pier Paolo Pasolini. Con Alberto Moravia formavano un bel trio; spesso insieme, hanno condiviso una profonda amicizia, che li ha portati a fare viaggi in Africa e in India, dove la civilizzazione non era ancora giunta. Pier Paolo cercava in queste terre il carattere genuino dell’umanità non ancora corrotta dall’era industriale, dal maledetto consumismo che snatura tutto e rende l’uomo un vile servitore del potere. Dacia e Alberto intuivano il potenziale esplosivo insito in questi luoghi non ancora civilizzati ma ognuno poi ne ha scritto a modo suo. Se confrontiamo i testi di Moravia e Pasolini, che parlano di questi viaggi, ci si domanda se veramente li abbiano compiuti insieme. È un dato di fatto però che ripetere simili esperienze rafforzi e consolidi relazioni, affetti, sviluppi intellettuali e creativi.
«Caro Pier Paolo, / stanotte ti ho sognato.» (p 5) così inizia la prima lettera di questo epistolario immaginario, dove Dacia spererebbe ottenere risposte e parole che non siano sognate. Ma pur di coccolarlo un po’, pur di stargli vicino si accontenta dell’artificio letterario. In quanto lettrice ho molto amato le lettere vagheggiate dall’amica scrittrice Dacia. Ho potuto così immergermi dentro alla loro storia, ho avuto la sensazione di fare anch’io un viaggio con Pier Paolo, e non di leggere l’ennesimo libro su Pasolini. Proprio così, faccio un distinguo fra nome e cognome.
Oggi, grazie a questo libro, conosco Pier Paolo per nome, come se fosse un amico, con il quale posso parlare del più e del meno, senza pensare che il mio pensiero non sia alla sua altezza. Il suo cognome infatti mi ha sempre parlato alto. Quel tipo di linguaggio che mi fa sentire se non proprio una nullità, comunque minuscola e incapace di raggiungere quelle sfere, riservata solo agli accademici, esperti e critici eruditi. «Sei enigmatico e principesco. Ammirevole nella tua sofferta divisione fra l’amore e la critica.» (p 116) Dacia porta il nostro sguardo sulla parte umana, intima, di un uomo sempre in conflitto con se stesso, con il mondo, con la vita.
Quindi, un libro che nasce dal sogno. Pier Paolo, che dice a Dacia di essere tornato in vita e di voler girare un film. Inizialmente, racconta l’autrice in un’intervista, prova imbarazzo per il forte contrasto fra realtà e sogno. Ma poi cresce in lei il desiderio di tenerlo ancora in vita, di accettare di rivivere qualche momento con il suo amico grazie al sogno. E allora la narratrice lascia che il sogno continui. E le lettere si scrivono quasi da sole, una dopo l’altra. Vengono così rievocati ricordi che altrimenti sarebbero rimasti sepolti nel dimenticatoio.
In quegli anni, sottolinea l’autrice, era grande il senso di solidarietà, di amicizia, di affetto. Forse anche perché il rapporto con le istituzioni era più problematico. C’era la censura! Ogni testo veniva sottoposto a tagli e questo creava più intimità fra gli scrittori. Oggi viviamo una libertà legata al consumismo che non è libertà. È una spinta a consumare, a sbracarsi, a rendere tutto merce. Non è un approccio costruttivo. La libertà deve essere costruttiva. Se si distrugge qualcosa è per costruire qualcosa altro. Distruggere e basta (come si fa oggi) non aiuta a costruire il futuro.
Ritornando alla storia di Pier Paolo Pasolini, generalmente ci viene comunicata attraverso i suoi libri e i suoi film. Ma c’è una grande differenza fra l’uomo, il suo pensiero e l’amico, il suo modo di dimostrare gli affetti. In questo libro Dacia Maraini ci mostra Pier Paolo nella vita privata, un uomo dolce, mite; non l’uomo che la maggior parte dei suoi amici conoscevano attraverso i suoi scritti ipercritici e rancorosi.
Pier Paolo Pasolini nasce fiducioso, gioioso, poi però quando scopre la sua omosessualità viene aggredito e trattato come un perverso, un malato e questo ha segnato il suo rapporto con il mondo. Lui come persona non era né violento, né brutale, né aggressivo. I viaggi in Africa – in mezzo al deserto, alla savana, dove non c’era niente di turistico – rispondono al suo desiderio di ritrovare quel sapore antico, genuino dell’infanzia, un mondo privo di consumismo. Qualcosa che gli ricordasse la sua Casarsa prima che il nemico industriale cambiasse ogni cosa.
«Sei sibillino, ma io so che ogni mattina incontravi le tue contraddizioni e ti mettevi in un canto a scrivere con quella tua veloce grafia dalle elle inanellate. Quella voglia di fermare sulla carta i pensieri più randagi era insistente in te, soprattutto la mattina. Ma lo facevi scrivendo.» (p 123)
«Ci hai lasciato le tue parole ridenti e arcane come un rebus da esplorare, risolvere. Rebus? Enigma? Entriamo nel campo di un Edipo dai piedi feriti.» (p 125)
Ma sopra ogni altra cosa, Pier Paolo era un poeta ci dice Dacia Maraini. Che amava la poesia, che la recitava a memoria, che le ha fatto amare Pascoli – il suo rapporto con la musicalità delle parole. Il suo rapporto con la natura. Con se stesso. Il proprio io che cerca con le parole. Per giungere agli altri.
Dacia Maraini riporta così il pensiero di Pier Paolo Pasolini: «Ecco, allora evidentemente questo senso civico che è alla base di questo mio interesse per i poveri, nasce, è radicato profondamente dentro di me nelle complicazioni, nello scrigno più complicato della mia personalità; quindi chissà attraverso quali ambigui processi questo senso civico è nato». (p 130)
E sempre cercando di penetrare la psicologia complessa di Pasolini, ricorda le sue parole: «nasce da una forma di narcisismo, cioè un certo amore per me stesso, che affonda poi sui soliti complessi di inferiorità, complessi di colpa, […] la mia ambiguità probabilmente nasce da questo, cioè da questo trasformarsi del mio narcisismo in forme sublimate di proiezione verso il prossimo». (p130-131) Con semplicità e delicatezza Dacia Maraini apre un varco diverso nell’intricato mondo pasoliniano. Dà a tutti noi la capacità di stargli accanto.
Bellissima la lettera di chiusura: «Caro Pier Paolo, / vorrei terminare queste lettere con un sogno felice.» (p 201) Nell’ultima lettera, il sogno è una danza: «Se chiudo gli occhi posso ancora trovarmi in quel giro di danza vorticoso in cui tutti e due volavamo.» (p 202)
E così Dacia, dulcis in fundo, regala al lettore questa esotica immagine del poeta danzante, giovane e ingenuo in terre antiche e lontane. Dove Africa e infanzia si librano in volteggi acrobatici verso l’alto. Dove sconfina la grande sete di amore e libertà di ogni essere umano.
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
Recensione 2
Quasi ogni capitoletto prende avvio da una cornice onirica, un sogno (vero o presunto?) che dà la stura a un’ondata di ricordi (viaggi, discussioni, episodi, riflessioni) intorno all’amico P. P. PASOLINI a cui l’autrice si rivolge direttamente sollecitandolo in questo slancio mnemonico: “.. ti ricordi… te lo ricordi… ti ricordi Pier Paolo?”
Nella limpida e pacata narrazione ho ritrovato con emozione lo stesso P. P. PASOLINI di cui mi ero occupata nel 1971, lui vivente, al tempo della mia tesi: Pasolini friulano e l’Academiuta di lenga furlana.
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