CASA Marilynne Robinson

CASA, di Marilynne Robinson (Einaudi)

 

– Ancora Marilynne Robinson!

– Ma è il terzo, nell’ultimo mese…

– Sì, esatto.

– Ma questo è il seguito di “Gilead”?

– Stessa ambientazione? Stesse tematiche familiari?

– Sì, siamo sempre nella piccola cittadina di Gilead, nello Stato dell’Iowa. Metà degli anni Cinquanta. Ma non si può proprio parlare di seguito. Siamo in parallelo, piuttosto.

– Come, in parallelo?

– Gli avvenimenti dei due libri si verificano in contemporanea?

– Non esattamente. In quel lungo monologo in forma di lettera scritta che è “Gilead”, l’anziano pastore John Ames fa più volte riferimento alla famiglia dell’amico, pastore anch’egli, Robert Boughton. Mentre Ames scrive al proprio figlioletto, proprio in quei giorni, fa ritorno nella cittadina uno degli otto figli di Boughton. È la pecorella smarrita, il figliol prodigo. Jack.

In “Casa” assistiamo al ritorno di Jack, ma questa volta la prospettiva è rovesciata.

– Siamo quindi questa volta nella casa dei Boughton?

– Anche questo è un racconto in prima persona, come il precedente?

– No. Cambia la prospettiva, ma cambia anche lo stile della narrazione. Il libro inizia un paio di anni prima del ritorno di Jack. Il vecchio pastore Boughton ha appena perso l’amata moglie. La più piccola dei suoi figli, Grace, si è appena lasciata alle spalle una relazione e torna in città per assistere l’anziano padre.

– E qual è il tema di fondo? La religione, il senso del messaggio pastorale, come nella lettera di “Gilead”?

– O magari il perdono? Il ritorno della pecorella smarrita e la riconquista della fiducia?

– La religione, certo, è sempre molto presente. Anche Robert Boughton è un pastore ed è quindi inevitabile che i suoi figli siano cresciuti all’ombra dell’insegnamento delle Scritture. Sono molti i temi di questo libro, ma la sua grandezza sta nel porre molte più domande di quante siano le risposte che intende dare. Cosa è quel luogo che chiamiamo casa? Cosa vuol dire farvi ritorno? Cosa vuol dire prendersi cura degli altri, aiutarsi a vicenda? Accettare l’aiuto di una mano tesa, non è forse esso stesso un atto d’amore? Lasciare che gli altri si prendano cura di noi?

Il libro si apre con un ritorno e si chiude con una partenza, in una nuvola leggera che contiene una speranza futura, il seme di un nuovo ritorno.

– Ma si può leggere questo senza aver letto il precedente?

– Si può, certamente. Si può leggere come un libro a sé. La stretta parentela con il precedente è un valore aggiunto, fa pensare a quei cerchi che si formano nell’acqua, dopo che hai lanciato un sasso. Anzi, per la precisione, due sassi. I cerchi nati da un lancio pian piano si allargano, si allargano e vanno a sfiorare quelli formatisi nel punto in cui hai lanciato l’altro sasso. È così fra la famiglia Ames e la famiglia Boughton. Passi da quello che accade in una, a quello che accade nell’altra, da una all’altra casa.

– Sembra di stare a teatro.

– O al cinema.

– Verissimo. Un meccanismo letterario che sfrutta le tecniche cinematografiche del montaggio alternato, dei continui cambi di inquadratura. Passare da un libro all’altro è assistere alla magia della finzione teatrale, coi suoi cambi di scena, mentre gli attori della compagnia si scambiano di posto, indossano nuovi costumi o addirittura invertono i ruoli.

– Sarà così anche con il prossimo? Con il terzo titolo della tetralogia? Ancora questo gioco di cerchi nell’acqua?

– Si intitola “Lila”, dal nome della giovane moglie del pastore John Ames?

– Sarà così, certamente. E non vedo l’ora di rientrare nella casa degli Ames.

Dialogo con Me e Io, alle prime luci di una fresca mattina d’agosto.

Marilynne Robinson

“Casa”

Einaudi.

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