CHI HA TRADITO ANNE FRANK. Indagine su un caso mai risolto, di Rosemary Sullivan (Harpercollins Italia – gennaio 2022)
Premessa: questo libro nei Paesi Bassi ha suscitato un vespaio, tanto che l’editore olandese, Ambo Anthos, ha deciso di ritardarne, se non bloccarne, la ristampa, in attesa dei chiarimenti su metodo e risultati dell’indagine da parte del team investigativo, di cui hanno fatto parte cittadini olandesi e non solo. In sostanza le proteste riguardano il fatto di dar per sicuro nel libro un risultato che sicuro al 100% non è, e che il nome proposto come responsabile del tradimento darebbe adito a far sfumare le colpe dei persecutori e dei collaborazionisti (che ci furono, eccome, non diversamente da quanto accaduto in tutti gli altri paesi occupati dalla Germania nazista) trasmettendo l’idea che Anne e gli altri erano “ebrei che furono traditi da un ebreo”: a fornire l’indirizzo di Prinsengracht 263 sarebbe stato infatti un membro del Joodse Raad, ovvero l’organizzazione voluta dagli occupanti che in tutti i paesi occupati doveva gestire e controllare le comunità ebraiche (altrove: Judenrat).
Il progetto di ricerca, che avrebbe dovuto in origine dar luogo alla produzione di un documentario, è nato nel 2016 ad opera di un cineasta olandese, Thijs Bayens, e di un giornalista, Pieter van Twisk, a cui si sono aggiunti nel tempo molti altri collaboratori e consulenti; responsabile del caso è stato un agente in pensione dell’FBI, Vince Pankoke. Alla fine ne è nato anche questo libro, articolato fondamentalmente in due parti, ‘L’antefatto’, in cui viene ripresa la storia dei Frank, dei van Pels e di Pfeiffer (ovvero gli occupanti dell’alloggio segreto), e “L’indagine”, in cui si rende conto di vari anni di ricerche. Indagine che procede ad excludendum, ovvero a verificare la possibilità o l’impossibilità che i vari personaggi sospettati di tradimento dal 1944 a oggi (un ladro? Il magazziniere? La moglie del magazziniere? La sorella di Bep?) siano stati davvero coloro che hanno denunciato i clandestini; alla fine resta un nome.
Il libro mi ha molto interessato, ma il risultato a cui giunge non mi ha convinto al di là di ogni possibile dubbio, direi che non ho visto la pistola fumante. Quello di cui mi ha persuaso è che Otto Frank, l’unico dei sette clandestini ritornato da Auschwitz, molto probabilmente conosceva il nome della spia, e decise di non rivelarlo per vari motivi, di cui il libro dà conto.
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A tutti coloro che amano la Storia, e in particolare quella del secolo breve, a tutti coloro che hanno letto il Diario di Anne, in qualsivoglia versione, e magari hanno anche visitato la casa di Prinsengracht (io l’ho fatto, e ci ho sofferto), ne consiglio La lettura.
Molti gli apparati che accompagnano la trattazione, utili in particolare il Glossario e le Note.
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