CHIAMATEMI CASSANDRA, di Marcial Gala (Sellerio)
Un romanzo che sfugge ad ogni catalogazione. Risulta infatti impossibile capire se vada collocato nel genere sudamericano del realismo magico, nel romanzo di formazione, nella letteratura di genere queer o nella rivisitazione in chiave moderna della mitologia greca. Probabilmente nella mente dell’autore è tutto questo e molto altro.
Marcial Gala dà vita ad un personaggio complesso e dalle mille sfaccettature.
il giovanissimo Rauli, ragazzino dai tratti efebici sospeso tra una madre che rivede in lui la sorella morta troppo presto e un padre che mal ne tollera l’aspetto così poco macho.
Rauli sopravvive in un ambiente ostile e disfunzionale solo attraverso la lettura e la creazione di una realtà aliena al suo quotidiano.
Una realtà in cui è Cassandra a parlare nella sua testa e a raccontargli che lui non è altro che la sua reincarnazione.
Tutto il libro lavora su un doppio, anzi triplo, piano temporale in cui si alternano continuamente gli avvenimenti di un Rauli bambino, le durissime giornate di un Rauli adolescente soldato in Angola e i ricordi arcaici di Cassandra.
Interessante come tutta la storia possa esser letta in maniera totalmente diversa a seconda della sensibilità e della personalità del lettore.
Tutto ciò che ci racconta Rauli è reale?
La Cassandra nella sua testa può veramente svelargli il futuro di chiunque, compreso il suo?
Rauli sarà mai finito a fare il soldato in Angola?
A volte si ha l’impressione che tutta l’architettura del romanzo sia quasi un espediente per parlarci di altro, qualcosa che in altri modi sarebbe difficile raccontare.
La ricerca della libertà sembra infatti essere il vero filo conduttore di tutta la storia. La difficoltà di trovare la propria strada nel mondo quando si nasce e si cresce in un ambiente pervaso dal maschilismo tossico.
Il superamento della vergogna per il proprio corpo e per i propri sentimenti che il giovane Rauli riesce a concepire solo credendo fermamente di essere la reincarnazione di una donna antica bella e potente perché così è più facile giustificare quella strana voglia di vestirsi da donna e quel corpo che non ne vuole sapere di crescere virile e forte.
A fare da sottofondo a tutto, è potente e presente in tutta la storia un profondo senso di malinconia e dispiacere per le vite che si consumano senza essere veramente mai vissute.
“Sono nato con gli occhi aperti, rubavo i vestiti a mia madre, mi truccavo davanti allo specchio [..]”
“Mia madre crede anche che io sia finoxxjio, che mi piacciano gli uomini, ma la verità è che io non provo nulla”
Recensione di Annachiara Falchetti
Commenta per primo