CIAO, DON CAMILLO, di Giovannino Guareschi
CIAO, DON CAMILLO è un libro pubblicato postumo, cioè nel 1996, dai figli di Giovannino (e non Giovanni) Guareschi, che hanno raccolto tutti i racconti del padre, pubblicati sul Candido (la rivista per cui scriveva), e riuniti in vari volumi che la Rizzoli ha pubblicato nella collana della Bur tra gli anni ’80 e ’90.
Questo libro contiene 37 racconti pubblicati nel decennio 1951-1961, e proseguono la saga di Mondo piccolo con gli stessi personaggi già conosciuti nei vari romanzi, anche se in questi non sempre don Camillo e Peppone sono i protagonisti. A volte appaiono di sfuggita, mentre in altri sono del tutto assenti. Però l’inconfondibile scrittura di Guareschi è sempre quella! Sempre fresca e piena di inventiva, che unita alla sua nota vena umoristica, rendono i suoi libri sempre gradevolissimi da leggere.
I temi principali dei racconti di Ciao, Don Camillo, sono quelli dell’abbandono delle campagne per andare in città a lavorare nelle fabbriche. Dagli anni ’50, infatti, moltissimi contadini preferivano trasferirsi in città per lasciarsi alle spalle la dura vita agricola, anche se poi provavano nostalgia e si pentivano di essersene andati.
Per scrivere questi racconti Guareschi ha attinto ad una realtà molto vicina alla sua, perché la conosceva bene, essendo lui stesso della Bassa, ma anche alla sua fede in Dio, che si riflette nei dialoghi di don Camillo con il famoso Cristo parlante dalla croce della chiesa di Brescello, che ebbi occasione di visitare diversi anni or sono, insieme al piccolo comune, ovviamente.
I miei racconti preferiti sono Il dottorino e L’occhio di Stalin.
Il dottorino racconta la difficile realtà della vita di campagna priva e lontana da tutto. Quando infatti qualcuno si sentiva male, non c’erano medici vicini che potevano soccorrerlo, perciò lo sfortunato doveva correre nel posto più vicino, rischiando anche, certe volte, la vita stessa.
L’altro racconto L’occhio di Stalin mi piace perché parla delle solite baruffe tra don Camillo e Peppone a causa di un canchero che il sindaco ribelle vuole sparare in cielo per fargli fare il giro attorno alla terra, fino a quando non sarebbe diventato spazzatura cosmica.
Don Camillo è contrario al lancio di questo strano e, secondo lui, inutile oggetto, ma Peppone non vuole saperne del suo parere, per cui il lancio avverrà lo stesso. Ma prima di ciò, nel racconto, Guareschi narra un sogno fatto da don Camillo.
Lui e Peppone erano morti, si trovano di fronte al giudizio del Signore: don Camillo è destinato al Paradiso e Peppone al Purgatorio. Don Camillo è contrario, per questo propone al Signore di farlo andare con Peppone in Purgatorio, perché grazie alle sue preghiere sarebbe potuto più facilmente salire nell’alto dei cieli. A questo punto è Peppone a protestare, contrariato all’idea di avere alle costole don Camillo anche in quel posto sacro. “Il Purgatorio diventerà per me un inferno”, risponde Peppone a Dio. Ma la misericordia di Dio è grande, perciò Peppone viene assolto nei suoi peccati e va con don Camillo in Paradiso. Anche lì però la baruffa tra i due continua con la solita comicità.
Non svelo il divertente seguito di questo racconto, perché spero che non venga dimenticato questo libro poiché farà ridere e sorridere di gusto della semplicità e dell’ingenuità delle vicende di quella gente, allora, ancora così spontanea.
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