Claudio Piersanti “soltanto uno scrittore”, si racconta a iLPassaparoladeiLibri.it
Claudio Piersanti è uno dei più interessanti e importanti scrittori italiani in attività: nell’anno in cui è uscito il suo ultimo romanzo Quel Maledetto Vronskij è stato insignito del Premio Boccaccio, solo l’ultimo dei numerosi riconoscimenti che hanno coronato la carriera di uno che si definisce “soltanto uno scrittore” ma che ha caratterizzato in modo raffinato e originale il panorama letterario nostrano dal suo esordio letterario, negli anni 80, fino al successo del suo ultimo libro; per quanto riguarda il suo rapporto con Giovanni Boccaccio, Piersanti è stato un ammiratore del grande Certaldese fin dai tempi dell’Università, amandone l’originalità narrativa e lo stile inimitabile come anche gli equivoci, che può generare una genialità compresa solo in parte.
iLPassaparoladeiLibri.it lo ha intervistato dopo la premiazione e cogliamo ancora l’occasione per ringraziarlo della sua disponibilità.
In che tipologia di lettore si riconosce più facilmente? Qual è il suo rapporto con la lettura?
Non so e non saprò mai se sono un bravo scrittore, ma sono certo di essere un buon lettore. Passo gran parte del mio tempo leggendo, a volte addirittura studiando. Ho imparato a leggere da piccolissimo, prima di andare a scuola, dove però non ho manifestato nessuna qualità particolare. Grazie alle modeste letture di mia madre (il libro Cuore, Ben Hur, e prima ancora favole che non ricordo) ho fatto la scoperta principale della mia vita. Ho letto anche fumetti dozzinali, che si mescolavano ai primi libri d’avventura: L’isola del tesoro, Zanna Bianca e così via. Non riuscivo a stare fermo nel banco, volevo sempre scappare (e infatti scappavo spesso di casa e da scuola) ma la lettura aveva il potere di catturare tutta la mia attenzione. Non leggevo per fare bella figura con il maestro e poi con i professori, ma soltanto per il mio piacere personale. In prima media lessi I promessi sposi in pochi giorni e vissi di rendita tre anni. Per non dipingermi come un secchione devo confessare che ho imparato a fare le divisioni soltanto nella tarda adolescenza, e non ho mai superato il 4 in geografia. Quando scappavo di casa sentivo di vivere intensamente, quando leggevo provavo la stessa sensazione, e in famiglia cercavano di proibirmelo. Anche nei miei insegnanti questo talento precoce suscitava dubbi e antipatia. Scrivevo temi senza commettere errori, ma questo non significava niente.
Quale libro o quali libri le sono rimasti nel cuore al punto da volerli consigliare ai nostri lettori?
Ognuno deve fare il suo incontro con la letteratura, ognuno deve trovare la sua porta d’accesso. Tostoij, pur essendo grande lettore di classici, consigliava di cominciare dalla letteratura contemporanea. Il mio libro decisivo fu Il processo, di Kafka, comprato per caso in una stazione ferroviaria mentre fuggivo di casa. Stavo cercando esattamente quel libro. Non pensavo che sarei diventato scrittore, anche se avevo fatto qualche patetico tentativo. Fino ai vent’anni e oltre lessi moltissimo scrivendo molto poco. Il poco che scrivevo lo buttavo via. All’università degli amici organizzarono una lettura di mie sedicenti poesie filosofiche-cervellotiche, che erano state fotocopiate senza il mio permesso. Dopo la lettura, pieno di vergogna, sequestrai le fotocopie e le feci a pezzetti piccolissimi tornando a casa. Dove ripresi serenamente le mie letture. Faccio qualche nome di buone letture, a casaccio: Montaigne. Leopardi, Gogol, Sterne, ma anche Critica del giudizio, di Kant, e tutto Hume, e anche Hobbes. E poi i grandi scrittori di racconti italiani: da Boccaccio a Tozzi e Bilenchi.. Leggo molti filosofi, anche alcuni storici, e almeno ogni giorno leggo una poesia: ultimamente ho letto-riletto tutto Mandel’štam e l’ultimo libro di Milo De Angelis, stupendo. Ora sto leggendo un poeta francese: René Corona, con grande piacere.
In un mondo in cui i like su FB sembrano avere un’importanza fondamentale, nel quale le classifiche più analizzate sono quelle delle auto-produzioni e chiunque sembra autorizzato a esprimersi sul valore di un’opera d’arte, ha ancora senso assegnare premi letterari?
Un premio che ha scelto quel nome riempie di orgoglio, certamente. Le narrazioni hanno molte origini, non può essercene una soltanto, ma Boccaccio è stato fondamentale per moltissime generazioni di scrittori di tutto il mondo. Si ha di lui una visione distorta, perché in fondo ogni autore viene almeno in parte equivocato. Non è l’aggettivo che ha involontariamente generato (boccaccesco, come machiavellico…) ma una personalità profonda e complessa, ancora fonte di ispirazione per tutti. La sua lingua è stupenda. Come tutti i grandi autori si fa addirittura fatica a dargli una precisa collocazione storica.
Oggi, il ruolo delle reti sociali come Facebook o Instagram è un dato di fatto impossibile da ignorare, eppure in molti faticano ancora a legittimarlo in campi come quello dei libri e della lettura: secondo lei lettura e reti sociali possono convivere in modo sinergico o è fatale che si escludano a vicenda?
Non ho paura della tecnologia, ci sono invecchiato dentro. Non credo che ucciderà la letteratura di qualità. Siamo in una fase di transizione. Il WEB al momento porta poche cose ottime (si pensi alla ricerca scientifica) e molte squallide e nocive. Diciamo che è in una fase primitiva. Per lo più è una sorta di rete fognaria piena di ladroni e cialtroni. Si svilupperanno reti ancora più complesse e selettive, e le decine di migliaia di operette narcise spariranno. Ricordo che tanti anni fa si diceva di un libro di Eco “però l’ha scritto col computer!” come per dire che la tecnologia l’aveva sostenuto nell’impresa. Oggi un’affermazione del genere fa sorridere. Per la cronaca, il libro si intitolava Il nome della rosa. Non aveva niente di iper-testuale ma era anzi iper-tradizionale e Word 1.0 aveva avuto un ruolo puramente dattilografico.
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