COSÌ ERAVAMO Francesco Guccini

COSÌ ERAVAMO, di Francesco Guccini (Giunti – settembre 2024)

 

Recensione 1

Sei racconti, sei momenti di vita autobiografici, velati di malinconica nostalgia, storie di un tempo passato, di volti dai contorni sfumati, di tradizioni e di scenari che il tempo ha cancellato. Questa breve raccolta ci presenta storie che riguardano vari momenti della vita del nostro (che non fa mai direttamente riferimento a se stesso) e con l’occasione traccia un ritratto a tratti poetico del tempo passato, dal racconto del viaggio di un bambino dalla periferia per arrivare alla scuola media nel centro con lo sguardo rivolto ai cambiamenti portati dalla guerra alle prime esperienze da giornalista, la fame e le scappatelle, dal racconto della vita di balera ai ricordi del servizio militare. Francesco Guccini ci presenta un viaggio dal grande valore emotivo, ricco di momento struggenti alternati ad altri più divertenti, con una galleria di personaggi ognuno a suo modo peculiare, riflesso di un passato che sembra quasi provenire da un’altra dimensione e che trova solo nella memoria e in qualche oggetto apparentemente senza alcun valore il suo unico rifugio.

Un lavoro veramente delizioso nella sua malinconia, con una prosa impeccabile che dipinge gli scenari narrati direttamente davanti agli occhi del lettore che si ritrova completamente immerso in quel passato così vicino e allo stesso tempo così lontano.

Recensione di Enrico Spinelli

Recensione 2

Guccini compone la sua non-biografia. Scrive cinque racconti con dei protagonisti che hanno la sua età, hanno vissuto la sua epoca, le stesse esperienze e visitato i medesimi posti, eppure non sono lui. Guccini non intende concepire l’ennesima autobiografia, ma vuole ricordare e restituire al lettore un’epoca ormai andata. Dunque, slegato dalla coerenza cronologica e dalla verità storica di una biografia, compone una finzione verosimile.

Una sorta di Antologia di Spoon River, con meno morti e l’Appennino che sostituisce la collina.

Il Maestrone cita se stesso, dimostrando una coerenza interiore di pensiero e di realizzazione.

I racconti sono ambientati tra gli anni ‘50 e i primi ‘60 tra la via Emilia e il West. I protagonisti spaziano dal giornalista, all’orchestrale di balera, passando da un giovane studente sino ad arrivare al militare di leva. Il dialetto si prende il suo spazio, senza però far mancare la traduzione.

I cinque raccolti riescono ad essere musicali e cinematografici allo stesso tempo.

Non tutti perfetti, eppure tutti e cinque riescono a coinvolgere restando piacevoli.

“Uno di quegli oggetti come un accendino, una penna stilografica, un portachiavi con un mazzo di chiavi che aprivano chissà quali porte, cose che hanno accompagnato, per lunghi tratti, la nostra vita e poi, un bel giorno, ci hanno abbandonato, se ne sono andatı, chissà dove e per quale motivo.
Oggetti inanimatı che dureranno più di noi, che rimarranno, nascosti da qualche parte nel tempo, in fondo a un cassetto, addormentati in un angolo di un vecchio armadio, nelle tasche di una giacca un tempo amata ma che da anni, per ragioni di misure, ormai tragicamente troppo diverse, non indossiamo più, o forse usati da un’altra persona che probabilmente non avremmo neanche voluto conoscere.
Oggetti che sono scomparsi ma che esistono ed esisteranno ancora, anche quando la nostra stessa vita sarà scomparsa per sempre.”
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Recensione di Emanuele Marino

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