DELITTO E CASTIGO Fëdor M. Dostoevskij

DELITTO E CASTIGO, di Fëdor M. Dostoevskij

Recensione 1 (Feltrinelli)

 

Il concetto di colpa, pena e punizione, è un’astrazione che da sempre ha interessato la cultura occidentale, legata secondo alcuni concepimenti, ad una formazione morale e religiosa.

Di pari passo a questo pensiero, vede progredirsi un’idea imprescindibile agli uomini, che elaborano il libero arbitrio.

Quest’ultimo concetto teologico filosofico, determina il potere degli individui ad agire secondo il proprio pensiero e la propria volontà, e non ad essere influenzato da fattori esterni.

Spesso, a interrompere il libero progredirsi di queste azioni è la giustizia, che interviene e ne ristabilisce il suo equilibrio prevedendo al suo debito il giusto risarcimento.

Ma quale pena potrà mai ristabilire l’equilibrio mancato, ad un reato commesso e mai riconosciuto come tale dalla propria coscienza?

Importante è capire a questo punto, in che direzione l’uomo si muove, quando in gioco entrano altri fattori, legati intimamente alla propria razionalità, sentimenti legati a due forze contrastanti che spesso si inseguono e che senza nessun ostacolo, si affrontano faccia a faccia; avvii scaturiti da avvenimenti che solo l’uomo sa partorire dalla sua impulsività, convogliando queste forze in tutte le sue azioni.

Tanti i fattori esterni che influiscono sulla mente, e che producono pensieri e turbamenti; condizioni turbolenti che inducono ogni essere ad agire e modificare uno stato di disagio.

Degrado e miseria, possono essere quella spinta che muovono ogni coscienza ad agire e determinare un cambiamento per il bene proprio e per l’umanità.

Gente che sia adopera a riprodurre i suoi simili e gente con il coraggio di affrontare ogni forza, per gridare al mondo la propria esistenza.

Mondo che in passato, ha già visto in faccia uomini agire nel cambiamento per il proprio beneficio, spargendo sangue e mietendo vite, uomini innalzati alla gloria e per questo incoronati.

Crimine che eleva monumenti, che premia debiti e risarcisce colpe.

Delitti mai condannati, ma innalzati alla celebrità di uomini privati di ogni rimorso, dissociati da ogni pensiero di natura morale.

Tanti i soggetti inseriti in un quadro dai mille colori, in cui un uomo, preso dai pensieri scaturiti da una mente afflitta, sembra essere il protagonista di un dubbioso conflitto interiore.

Raskol’nikov giovane studente squattrinato, si muove in una San Pietroburgo tormentata dal degrado, dove uomini e topi sembrano vivere in armonia, in una miseria che sfoggia gli stracci portati addosso come l’identità della propria gente.

Dove il vizio, che consuma corpo e mente, diviene l’unica ambizione per guarire una esistenza ridotta alla sopravvivenza.

Personaggio libero da preconcetti che gravitano sulla coscienza umana, pregiudizi che pesano come il male e che non confondono come il bene. Essere di una categoria superiore che sa far valere la sua straordinarietà, conquistandosi i mezzi per la propria competitività, perché il potere appartiene solo a chi osa, e se lo prende senza chiederlo.

Cupi colori che concepiscono turbamenti, pensieri opalescenti che nella mente di chi si crede superiore, inducono ad agire, cercare la condizione giusta per uscire da quel sottosuolo opprimente, che non dà modo di realizzarsi.

Agire con in mente un piano omicida, elimina sicuramente dal mondo, un essere spregevole, che nulla da ad esso, ma che ad esso egli deruba. Essere ripugnante, avvoltoio di uomini e di quello che di loro resta, che si liberano dei loro beni, bottino appartenuto solo ad un passato che comprende i loro peccati.

Presto i pensieri si tramutano in gesti, e le azioni diventano delitti, crimini che pesano tanto, quanto la gravità del proprio rimorso.

Ma se ogni delitto prevede il suo castigo, qual è il castigo previsto per quest’uomo?

Accesa la fiamma, breve è il divampare del fuoco, bruciore di un malore fatto di dubbi, domande, paure e insicurezze che iniziano a consumare i bordi di una coscienza invasa dal deliro. Castigo di chi si assume le sue colpe, ma che non le accetta in quanto figlia di una mente superiore; debolezza di chi non sa portare il fardello del suo peccato superando anche la morte vigliacca di chi cede alla tentazione.

Ma ogni dubbio conduce alla sua redenzione, e ogni vittima ritrova la sua salvezza nella speranza di ogni piccolo gesto, nel valore che ogni vita in essa racchiude, riparo che in solitudine ci aspetta in una pace che solo un Dio sa donare, liberandoci indistintamente da tutte le nostre colpe.

Buona lettura.

Recensione di Giuseppe Carucci

 

 

Recensione 2 (Mursia)

Non è un romanzo di facile lettura. Bisogna dirlo!

La narrazione realistica si base fortemente sul processo di analisi psicologico, del tutto singolare, dei personaggi: il tremendo caos nel quale l’uomo si dibatte nella tormentata alternativa tra i sommi principi del bene e del male, fonte perenne della sua contraddittorietà.

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È un romanzo dalla trama problematica, di potente suggestione, sia per la vastità e complessità dell’ordito narrativo, sia per il tumultuoso e incoerente intrecciarsi delle vicende in un intenso clima drammatico.

Dostoevskij fruga in tutto l’animo dell’uomo, soprattutto negli angoli più nascosti, e mette sulla pagina tutto ciò che trova grazie a personaggi costruiti magistralmente che sono la personificazione di ogni impulso umano: il bene, il male, il sacrificio, la vergogna, la pusillanimità, il coraggio, la follia, la consapevolezza…

Pietroburgo, cupa e afosa, le stanze dove si muovono i personaggi, misere, luride, anguste e buie, tutto sembra il riflesso delle coscienze sporche, dei peccati cui si macchiano le anime, dell’inferno dove le esistenze precipitano, in una difficile epoca russa.

Raskòlnikov, il giovane protagonista, vive una schizofrenia intellettuale che lo spinge a voler attuare l’equità sociale di Marx arrogandosi i privilegi del superuomo di Nietzsche. È lui ad ammettere che il vero movente del suo delitto è stato il desiderio di provare la propria superiorità:

 

“Non ho ucciso per aiutare mia madre: che cosa assurda! Non ho ucciso per consacrare al bene dell’umanità la ricchezza e la potenza da me acquistate: sciocchezze! Ho ucciso semplicemente, per me stesso, per me solo!”.

Nel suo delirio di onnipotenza, però, ha fallito. Aspirava a “diventare un Napoleone”, ma è riuscito solo a compiere un’azione stupida.

In tutte le pagine un alternarsi di trionfi, (o pure convinzioni?) e fallimenti (o mero rimorso?)
La pazzia di un’epoca “di passaggio” dove i ruoli si sono frantumati, le coscienze si rimescolano, la povertà schiaffeggia un’ inutile ricchezza impoverita di ideali.

La vitalità dei personaggi è resa nella tensione del dialogo e dell’azione, nella tensione di raggiungere la redenzione attraverso l’esperienza sofferta e tormentata del peccato e del male.

Un romanzo forte, aspro, doloroso, sofferto lungo il suo percorso narrativo, ma vittorioso nell’ affermazione della carità, della bontà sostanziata di umiltà religiosa.

E sì, soltanto attraverso grandi sofferenze, l’uomo, spesso, può raggiungere stati di grazia che gli permettono di riacquistare il senso dei grandi e umili sentimenti (direi, quasi quasi, una grazia divina!)

Sebbene non di facile lettura, mi ripeto, è uno di quei libri che bisogna leggere perché affronta temi che spingono il lettore ad avvicinarsi a ogni forma di romanzo.

Dopo aver letto Dostoevskij, si può leggere di tutto con molta più facilità!

Recensione di Patrizia Zara

DELITTO E CASTIGO Fëdor M. Dostoevskij

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