DIARIO DI UN UOMO SUPERFLUO, di Ivan Sergeevič Turgenev
Si tratta di uno scritto considerato minore, ma io non lo trovo affatto tale. La trama di questo racconto lungo è piuttosto semplice: Čulkaturin, trentenne a cui hanno diagnosticato una malattia che gli lascia da vivere all’incirca due settimane, decide di occupare gli ultimi istanti di vita a raccontare la sua vita in un diario: una vita inutile, quella di uomo superfluo.
Scopriremo, però, che la sua malattia non è solo fisica, ma anche morale: quella di colui che non si riesce ad adattare e a vivere nel tempo e nella società in cui è collocato.
Ne nasce qualcosa di unico: esilarante nella sua costante vena di ironia e nelle vicissitudini raccontate con estrema maestria; romantico nel senso letterario del termine (siamo a metà dell’Ottocento) nell’esaltazione delle passioni, nei richiami alla natura che leopardianamente continua il suo corso indifferente ai dolori dell’uomo e alle sue vicissitudini, e infine nella sua forma diaristica; magico nella scrittura nella magnifica traduzione di Alessandro Niero; riflessivo sulla “superfluità” traducibile in inettitudine dell’uomo o inabilità alla vita che sarà un tratto distintivo della letteratura russa e non solo (in Italia il caso più emblematico e conosciuto è La coscienza di Zeno di Italo Svevo).
Io l’ho adorato, la letteratura russa ha sempre esercitato un fascino particolare su di me; inoltre vi ho trovato tanti rimandi e punti di collegamento con altre opere precedenti e successive, in un fil rouge che giunge fino a noi.
Lo consiglio a tutti.
Recensione di Patrizia Bellanova
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