DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA, di Miguel de Cervantes
Era il più anti-spagnolo degli scrittori spagnoli. Era un soldato e un esattore delle tasse, tra le altre cose, ma la letteratura era la sua passione. Quando scrisse il romanzo, stava invecchiando e stava anche perdendo la pazienza, con se stesso e, molto probabilmente, con la Spagna. È stato visto come un campione contro la censura, è stato incarcerato dall’Inquisizione. In altre parole, non era un santo. Né dovremmo continuare a pensarlo. Come scrittore, non era molto stimato. “Don Chisciotte”, il suo capolavoro prende in giro quasi ogni aspetto della vita nella Castiglia del XVII secolo, dall’Inquisizione al coraggio virile, dal linguaggio di classe inferiore alla letteratura stessa. Il suo occhio umoristico ha fatto sembrare infelice l’intero paese. In tempi di difficoltà, come adesso, ci si rivolge di nuovo a lui per l’aiuto nel riordinare se stessi. Ho sempre considerato una bella metafora che Cervantes non avesse un indirizzo fisso in Spagna. Così poteva essere ovunque e da nessuna parte.
Leggerlo adesso fa venire in mente di quando lottavamo per il giusto per motivi morali, di quando creavamo le leggi o le cancellavamo per motivi morali, di quando combattevamo la povertà e non i poveri, di quando ci sacrificavamo pensando agli altri, di quando facevamo cose concrete senza essere spocchiosi, di quando puntavamo sempre in alto, di quando agivamo da uomini ed aspiravamo all’intelligenza, la esaltavamo, non ci sentivamo inferiori, non ci identificavamo con chi avevamo votato e non eravamo così paurosi, di quando eravamo ben informati, da uomini rispettabili.
Don Chisciotte era un folle, un vecchio demente convinto di poter salvare il mondo da un’epidemia di inciviltà semplicemente comportandosi da cavaliere. La sua religione era la dignità. E ha combattuto per tutta la vita contro i suoi nemici, insegnando anche anche a noi, chi più chi meno, a essere folli. Era un uomo, un vero grande uomo.
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