Due donne in fioritura, come gli Hibiscus d’estate, nei Bildungsroman di Adichie e di Lanza de’Rasi
Due Libri a Confronto – L’IBISCO VIOLA Chimamanda Ngozi Adichie – L’IBISCUS STAVA FIORENDO Tindara Lanza de’ Rasi
Cosa accomuna due scrittrici contemporanee di origini totalmente diverse? Un fiore-simbolo, quello dell’Hibiscus, detto anche ibiscus o ibisco, arbusto ornamentale comune, che ogni estate allieta le corsie delle autostrade o le riviere dei bagni marini, riempiendo di colori il paesaggio naturale.
Per Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana e americana, vincitrice del Commonwealth Wtriters’ Price, dell’Orange Prize, del Dayton Literary Peace Prize e dell’Indie Book Awards 2023, il cultivar innovativo di Hibiscus viola, realizzato per propagazione gamica in L’ibisco viola, rappresenta il simbolo di un’esistenza che sboccia libera in tutta la sua interezza per la prima volta. Kambili, la protagonista del romanzo, è infatti una ragazzina succube del padre, un fanatico cattolico che eccede in parossismi di violenza quando rileva atteggiamenti poco morali.
Durante la guerra di secessione del Biafra, negli anni dal 1966 al 1970, quando il Sud-Est della Nigeria intendeva creare un territorio autonomo per l’etnia Igbo alla quale anche la ragazza appartiene, è costretta a rifugiarsi a casa di zia Ifeoma, appassionata di fiori, dove scopre che un’altra esistenza, ricca di amore misericordioso e libera da inflessibilità religiose ostruenti, è possibile.
Chimamanda Ngozi Adichie usa uno stile particolare per narrare questa vicenda di cambiamento ed empowerment al femminile, mischiando all’inglese coloniale, la lingua etnica Igbo della sua famiglia, una lingua dall’accentazione complessa ma dalla trasposizione scritturale in caratteri romani.
Il mélange linguistico dell’autrice nigeriana trova corrispondenza nel libro L’ibiscus stava fiorendo di Tìndara Lanza de’ Rasi. Per narrare le vicende di Mirella Coresca, garden designer milanese, la scrittrice amalgama infatti tecnicismo botanico, italiano classico e inglese modaiolo, affiancandoli al siciliano di vetusta pronuncia, il Gallico-Italico nebroideo importato dai Normanni nella trinacria medievale. E anche in questo caso, è un fiore di Hibiscus, stavolta rosso, a diventare simbolo esistenziale di sradicamento-radicamento, trapianto e rinascita, cura e fioritura.
La protagonista, finita sulla rotta della comitissa Adelasia del Vasto, regina nel Medioevo, emigrata prima a Mileto, in Calabria, poi verso vari centri importanti della Sicilia, ha anch’essa un rapporto conflittuale con tutto ciò che è tradizione. Si orienta al Buddismo per rimarcare questa sua non sussidiarietà alla metafisica tradizionale.
Propende per la cultura giapponese e non si sofferma su quella prettamente etnografica che le propone lo stivale. Ma anche per lei, come per Kambili, un trasferimento di residenza temporaneo dalla Lombardia alla Sicilia, si rivela determinante per estirpare radici fossili che ha lasciato crescere nel suo giardino, senza trovare mai la forza di eliminarle, e per rientrare in un flow esistenziale più ottimale.
In questi due splendidi Bildungsroman di formazione le protagoniste, la prima, una ragazzina nigeriana degli anni Sessanta-Settanta, la seconda, una donna milanese dei nostri giorni, ci raccontano dunque la capacità, tutta soggettiva e originale, di annullare lo stallo in cui sono finite entrambe, causato non dalla cultura di origine o dall’etnia di appartenenza, ma dalle vere nemiche che hanno nutrito riccamente per decenni senza volere: le temibili se stesse di sempre.
Di Franca Rasi
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