DUE LIBRI A CONFRONTO: L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE, di Giulia Caminito – IL VINO DELLA SOLITUDINE, di Irène Némirovsky
La storia di Gaia, bambina e poi ragazza cresciuta in un ambiente povero e degradato prima nella periferia romana poi ad Anguillara,
sul lago, suscita molte domande.
Ma poiché non solo chi scrive lo fa da un suo punto di vista ma anche chi legge, io mi ritrovo di più nella figura della madre, Antonia dai capelli rossi. Verso di lei,verso il suo atteggiamento di madre energica, accentratrice, spesso la figlia prova fastidio, si sente oppressa e soffocata.
Sino alla fine ho sperato in una svolta, in un ‘illuminazione, ma non è successo niente.
E’ l’estrema indigenza ad averla resa così dura, a tratti violenta verso gli altri?
Da altri tempi e altri luoghi si materializzano i personaggi di Irene Nemirovsky. Qui non è messo in discussione il suo talento per la scrittura ma soltanto il rapporto madre – figlia che è centrale in ogni suo libro. Il massimo dell’autobiografia è forse “Il vino della solitudine”. La vita di Helene – Irene si svolge in ambienti lussuosi ma l’inadeguatezza e’ la stessa come la stessa e’ la richiesta – rifiuto dell’affetto materno. Helene bambina dice della madre :ora per salutarla devo posare la bocca su quella guancia che preferirei graffiare.
Tornando alle figlie, sarebbe troppo semplicistico attribuire una sola causa alle profonde lacerazioni e contraddizioni dell’adolescenza:
nel processo di crescita intercorrono molte variabili, alcune ambientali, altre – almeno credo – date dal nostro DNA. Non si nasce tabula rasa ma con misteriose tendenze che vanno a confluire in quel crogiolo che è la persona adulta.
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