DUE LIBRI A CONFRONTO: L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE Giulia Caminito – IL VINO DELLA SOLITUDINE Irène Némirovsky

DUE LIBRI A CONFRONTO: L’ACQUA DEL LAGO NON È MAI DOLCE, di Giulia Caminito – IL VINO DELLA SOLITUDINE, di Irène Némirovsky

La storia di Gaia, bambina e poi ragazza cresciuta in un ambiente povero e degradato prima nella periferia romana poi ad Anguillara,

sul lago, suscita molte domande.

Mentre leggevo, non sapendo dell’autrice altro che la vincita al Campiello, mi chiedevo quanto ci fosse di se stessa nel personaggio, oppure se non avesse voluto rappresentare un caso limite di non- formazione.
Perché Gaia è dura, non si svela né si abbandona mai, attacca per difesa, ma spesso mancando degli strumenti giusti per lo scopo.
Giulia Caminito nella sua scrittura curata, realistica, mai banale, valuta ancora la realtà con occhi da figlia.

Ma poiché non solo chi scrive lo fa da un suo punto di vista ma anche chi legge, io mi ritrovo di più nella figura della madre, Antonia dai capelli rossi. Verso di lei,verso il suo atteggiamento di madre energica, accentratrice, spesso la figlia prova fastidio, si sente oppressa e soffocata.

Cosa strana, più vengono descritti episodi di invadenza da parte di Antonia, più me la fanno amare.
Come quando regala alla figlia un vocabolario e lo sfogliano insieme cercando le parole difficili, Gaia con condiscendenza, la madre con meraviglia, lei donna vissuta nel degrado ma attratta dal sapere.
Oppure quando la figlia chiede un diario alla moda e Antonia lo ricostruisce unendo insieme 2 quaderni. Che tenerezza!
Eppure le aspirazioni della ragazza sono altre: racchetta super, parrucchiere, Smemoranda, innamorato ricco da esibire.
Ma non è vuota Gaia, questi status simbol sono la chiave per entrare nel mondo dei compagni ricchi, per essere come loro.
Gaia soffre davvero, la sua fatica di vivere e’ tanta.
Anche la scelta di studi universitari non è dettata da interessi culturali, ma – da femmina antica – per dimostrare che c’è un campo in cui
può valere.

Sino alla fine ho sperato in una svolta, in un ‘illuminazione, ma non è successo niente.

E’ l’estrema indigenza ad averla resa così dura, a tratti violenta verso gli altri?

Da altri tempi e altri luoghi si materializzano i personaggi di Irene Nemirovsky. Qui non è messo in discussione il suo talento per la scrittura ma soltanto il rapporto madre – figlia che è centrale in ogni suo libro. Il massimo dell’autobiografia è forse “Il vino della solitudine”. La vita di Helene – Irene si svolge in ambienti lussuosi ma l’inadeguatezza e’ la stessa come la stessa e’ la richiesta – rifiuto dell’affetto materno. Helene bambina dice della madre :ora per salutarla devo posare la bocca su quella guancia che preferirei graffiare.

Lo stesso modo implacabile di giudicare non concedendo attenuanti.
Ebbene, di Belle – Fanny, egoista vanitosa traditrice anaffettiva, persino di questa donna, vorrei rivendicare il diritto di non rinchiudersi nell’ambiente famigliare se questo mondo le sta stretto. Non e’ un percorso obbligato.

Tornando alle figlie, sarebbe troppo semplicistico attribuire una sola causa alle profonde lacerazioni e contraddizioni dell’adolescenza:

nel processo di crescita intercorrono molte variabili, alcune ambientali, altre – almeno credo – date dal nostro DNA. Non si nasce tabula rasa ma con misteriose tendenze che vanno a confluire in quel crogiolo che è la persona adulta.

Di Ornella Panaro
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