È QUELLO CHE TI MERITI, di Barbara Frandino
Sguardo d’acciaio e dolcissimo sul dolore, una specie di confidenza quella che ci fa Claudia, la protagonista del romanzo. Il dolore di chi vive in una vita che non è la propria, la distonia di chi vede il mondo con gli occhi di un altro, il disagio di abitare un mondo che non è il suo mondo.
E’ vero: leggendolo viene in mente Marquez, il marito di Fermina che cade accidentalmente e muore, qui accade una cosa simile, Antonio, il marito di Claudia, si arrampica su un albero di melograno e cade dalla scale, ambulanza, ospedale. E Claudia, come Fermina, mette a posto casa, pulisce, prepara da mangiare, sistema l’aspirapolvere, cerca nei doveri quotidiani una risposta che non trova da nessuna parte ad una domanda terribile: “E’ la mia vita?” Questo libro fa male, scava dentro ognuno di noi, ognuno di noi ha una crepa che si porta dietro, ognuno di noi se la porta appresso, anche quando è una persona quadrata, libera e spiccia o quando è una persona caotica, fantasiosa e un po’ irresponsabile.
E Claudia ne ha di crepe, di vuoti: sceglie di non riempire i vuoti, ma di imparare a guardarli, prova a stare insieme per scelta, per superare il suo crepaccio emotivo. Insieme, quando si può, ma a volte da soli. Perché il contrario della coppia non è la solitudine, è la paura di rimanere da soli. E la paura di restare soli si concretizza in piccole cose: la paura di avere la febbre e nessuno che ti porti una Tachiprina, la paura di essere in tre al cinema con la coppia accanto a te che si tiene per mano, la paura di aver voglia di sesso e non avere nessuno con cui farlo.
Che sono piccole assenze, prese una a una, ma insieme fanno un mondo, fanno una vita. La paura di restare soli. Leggerlo è come guardare un quadro di Hopper, nel suo silenzio finisce sempre che ci troviamo qualcosa di nostro se lo guardiamo bene, solo apparentemente non ci riguarda, invece è una nostra radiografia, è una parte di noi. Questo è un libro feroce, per cuori forti, per anime sghembe. Astenersi perditempo.
Recensione di Alessandro Musco
Commenta per primo