EBANO Ryszard Kapuściński

EBANO, di Ryszard Kapuściński

Nato a Pinsk (nell’attuale Bielorussia) nel 1932 e morto a Varsavia nel 2007, Ryszard Kapuściński è stato un giornalista, scrittore e saggista ma soprattutto corrispondente estero dell’agenzia di stampa polacca Pap. “Ebano” (edizione originaria 1998-Heban), pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2000), è il suo racconto straordinario e appassionato dell’Africa, con uno sguardo che oltrepassa ogni superficialità e ogni luogo comune, lo sguardo di un cronista attento e rispettoso che ci racconta ogni episodio della sua vita nel Continente in cui rimase per quarant’anni, che ci riporta ogni cosa, paesaggi, uomini, guerre, usanze, tradizioni, spiritualità, senza mai sentirsi in dovere di giudicare, di condannare o assolvere niente e nessuno.

 

Dal suo racconto si evince il grande amore per questa terra meravigliosa e crudele, piena di contraddizioni, di pericoli, di lotte per la sopravvivenza ma anche piena di gesti colmi d’umanità e di grandissima dignità. Un “Uomo Bianco” dalla mentalità aperta, dischiusa ad accogliere quel mondo e a cercare di spiegarlo a chi tutto crede di sapere. L’Africa piena di luce ci viene incontro immergendoci nel suo sole bruciante, alla ricerca di ombra e di acqua, elementi essenziali per la sopravvivenza, “due sostanze fluide, instabili, che un momento ci sono e il momento dopo scompaiono chissà dove”.

 

EBANO Ryszard Kapuściński Recensio i Libri e News UnLibroPer raccontarci tutto ciò in modo veritiero e aderente alla realtà, rischia la sua stessa vita. Lontano dai villaggi turistici alla moda, Kapuściński si addentra nel territorio più profondo, più impervio e vivrà insieme alla gente, sia ogni bellezza che quel paese offre che ogni pericolo, ogni disagio, nel tentativo di comprendere in pieno la quotidianità di quel popolo e condividere con esso rischi e privazioni, scomodità e carenze, per quanto è possibile per lui non abituato a tanta povertà e a tanta miseria: si ammalerà di malaria cerebrale e di tubercolosi, conoscerà la paura di un incontro ravvicinato con un serpente velenosissimo, il delirio di trovarsi nel deserto sotto il sole e senza acqua, il terrore di essere ucciso dalle bande che imperversano in tutto il paese, vivrà ogni episodio avverso cercando di assorbire il senso di fatalismo e la precarietà dell’esistenza di quella gente, il loro bisogno di un mondo spirituale ricco e complesso, di una vita interiore permeata di religiosità.

Ci si immerge nell’Africa, con i suoi leoni che danno la caccia alle gazzelle e si riposano all’ombra preziosa dei pochi alberi della Savana, con le grandi e temutissime mandrie di bufali o con gli elefanti che ormai invecchiati e prossimi alla fine cercano un modo per morire e scomparire per sempre, con i suoi scarafaggi giganti che si acquattano nel buio e i mille insetti che sibilano, stridono, sfregano le loro ali e le loro zampe, ronzano, come le zanzare assetate di sangue. E poi gli odori, i colori, i mercati straripanti di gente, le donne, i bambini, i canti, quel brulicare umano che possiede una grande forza di conservazione che né la fame più nera né il caldo che pugnala le loro schiene come un coltello ardente può fermare. E le guerre, così sanguinose, così terrificanti, così poco interessanti per il mondo occidentale: le decolonizzazioni, i colpi di Stato, i dittatori con le loro terribili torture, gli eccidi, l’indipendenza cercata a caro prezzo, i signori della guerra e i soldati bambini, gli scontri tra etnie, il commercio di armi e quello dei diamanti, pietre preziose imbrattate di sangue umano.

 

Un libro che è stato definito una delle migliori analisi storico antropologiche dell’Africa, di quell’’Africa che è un coacervo delle più svariate e diverse situazioni, di quell’Africa la cui Storia non conosce documenti, scritture, libri, ma che è stata tramandata di generazione in generazione solo con il racconto orale che ha continuato di padre in figlio modificandosi, trasformandosi e anche abbellendosi. Così “la Storia, libera del peso degli archivi e dal rigore dei dati, raggiunge la sua forma più pura e cristallina: quella del mito”. Le nozioni e la meccanica del tempo, misurata in giorni, mesi e anni, scompaiono in favore di espressioni come “tanto tempo fa”, “in un tempo lontano che nessuno più se ne ricorda”, un tempo di forma circolare come la Terra dove “non esiste il concetto di sviluppo ma solo di durata”. “Qui il limite della memoria è anche il limite della Storia.

 

Prima non c’è niente. Il prima non esiste. Storia è ciò che si ricorda. Gli africani non possono dire “Leggete la nostra storia nei libri” perché quei libri non esistono, non sono mai stati scritti” e “non esiste storia all’infuori di quella che riescono a raccontare”. Kapuściński, un bianco con il cuore nero, più nero della notte e del buio, con intelligenza e serietà, con attenzione e delicatezza, prova a lasciare nelle nostre mani un pezzo di quell’immenso e sterminato mondo e ci chiede con grande sensibilità di averne altrettanta

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