Facciamo memoria…per affondare – REBECCA LA PRIMA MOGLIE Daphne du Maurier
“I dreamt last night I went to Manderley again”
Un incipit che potrebbe far pensare ad una fiaba ma subito dopo Daphne racconta di un sogno che in realtà è un incubo e già da subito ha spostato il punto di vista del lettore, il mio punto di vista.
Per tutto il romanzo Daphne du Maurier, questa talentuosa, intrigante, misteriosa, scrittrice inglese mi ha fatto cambiare idea su luoghi, situazioni e personaggi.
Rebecca è un’ossessione, una presenza inquietante, un ricordo che non vuole affievolirsi, anzi continua a rimarcare la sua forza, la sua diabolica influenza su Manderley, sulla natura circostante, sulle persone che direttamente o indirettamente l’hanno conosciuta.
Rebecca è la prima moglie di Maxim de Winter, morta annegata con la sua barca, nel mare di Cornovaglia.
Il romanzo inizia con la fine della storia. Inizia con un sogno, che poi è un incubo, e che apre ai ricordi della protagonista senza nome del romanzo.
E’ lei in prima persona che ci fa fare questo viaggio a ritroso, è lei che apre la “bottiglia dei ricordi” e fa sì che la memoria diventi un “ponte gettato sugli anni”, lei che è “solo” la seconda moglie di De Winter.
E come può una ragazzina di poco più di 20 anni, goffa, impacciata, timida all’inverosimile, che si mangia le unghie, prendere possesso di una tenuta come Manderley, imponente, sontuosa, aristocratica; del suo personale, preparato, discreto, efficiente e soprattutto come può una ragazzina che ha sempre fatto la dama di compagnia competere con la bellezza raffinata, la determinazione, la forza, il portamento, il savoir faire di chi l’ha preceduta? Della famosa e compianta Lady De Winter?
Tutto il romanzo è un confronto continuo, Rebecca è a tutti gli effetti la coprotagonista della storia.
All’inizio ne sono rimasta affascinata e abbagliata. Mi ripetevo: “Che donna!!!”, la “senza nome” è solo una pallida presenza, una ragazzina remissiva e inconcludente.
E’ sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato, non ne combina una giusta, non ne dice una giusta.
Eppure…ha una curiosità e un coraggio unici che la portano ad esplorare gli angoli più selvaggi della natura che circonda Manderley, i boschi, le muraglie di rododendri rosso fuoco che non fanno passare l’aria, i declivi impervi che portano alla baia, passando per scogliere frastagliate avvolte dalla tipica nebbia inglese.
E non riesce neanche a star lontana dall’ala ovest della casa, quella che racchiude il mondo di Rebecca…le sue stanze, i suoi quadri, il suo guardaroba, tutto rimasto intatto da quel giorno fatidico di un anno prima.
Persino il profumo di Rebecca ha resistito al passaggio del tempo…e aleggia come un fantasma su ogni cosa.
La sua è una lotta impari, come si può competere con qualcuno che non c’è più? Con un ricordo? Con la memoria di una donna fortemente presente in un luogo e nella testa di tante persone?
Si può sopravvivere al ricordo, alla memoria, gettandosi tutto dietro le spalle e ripartire da zero, ma in questo caso non possono esserci più segreti, si devono pagare i propri errori altrimenti si soccombe e si affonda esattamente come Rebecca.
E in questo libro già dalle prime pagine Daphne ci dice che “La casa era un sepolcro dove giacevano il nostro terrore e le nostre sofferenze, sepolti sotto le rovine. Non ci sarebbe stata resurrezione”.
Non ci sono vinti né vincitori…
Per ironia della sorte il fantasma di Rebecca ha perseguitato anche Daphne…i critici letterari non le hanno mai perdonato il grande successo di pubblico di questo romanzo, e il numero altissimo delle copie vendute relegandola nel mondo del romance e apostrofandola con aggettivi che lei aborriva, “romantica”, “gotica”, “sentimentale”.
Sempre per ironia della sorte Daphne è morta il 18 aprile del 1989 con i ricordi persi in una nebbia spessa causata dai farmaci che prendeva contro l’insonnia e la depressione, nebbia che ha assorbito tutti i suoi romanzi ma non Cime tempestose di cui riusciva a parlare per ore, romanzo che ha segnato la sua adolescenza.
Il giorno prima di morire però, sulla spiaggia di Menabilly, la sua Manderley, sotto una pioggia battente e guardando il mare in tempesta, si mette in pace anche con la protagonista del suo più celebre romanzo, lei donna che attrae e respinge, che l’ha resa celebre in tutto il mondo ma che non le ha mai permesso di ricevere i riconoscimenti che meritava.
“Le immagini le sfilano dinnanzi: la sua capanna, la sua macchina da scrivere, le sue dita che battono velocemente, la pagina bianca infarcita di parole. Impossibile imprigionare un visionario, sa varcare i muri, togliere i chiavistelli alle porte, cacciar via il peso degli anni. Il visionario ha tutti i diritti, il visionario è libero, glielo aveva sussurrato nonno Kiki.”
Buona lettura!
Manderley è il cuore del libro
Di Cristina Costa
Facciamo memoria…per conservare – AUGUSTUS John Williams
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