FEBBRE, di Jonathan Bazzi (Fandango Libri)
Recensione 1
Oggi, primo dicembre è la Giornata Mondiale contro l’AIDS, celebrata in tutto il mondo da quando è stata istituita nel 1988. È stata la prima giornata mondiale della salute ed è divenuta una delle opportunità maggiori per sensibilizzare sul problema, esprimere solidarietà alle persone affette da questa sindrome e ricordare coloro che hanno perso la vita, quando ancora non si sapeva come trattare la patologia.
Nel mondo sono circa 36,7 milioni le persone che hanno contratto il virus e, nonostante la sindrome sia stata identificata nel 1984, oltre 35 milioni di persone sono morte a causa dell’AIDS, una delle pandemie più distruttive della storia. Da allora sono stati fatti progressi scientifici per il trattamento dell’AIDS, sono state adottate leggi per proteggere le persone affette dalla sindrome e si hanno più strumenti per comprendere la condizione delle vittime.
Nonostante questo, 1,8 milioni di persone hanno contratto l’AIDS nel 2016 e un milione di persone ha perso la vita per cause associate a questa malattia. «Tre anni fa mi è venuta la febbre e non è più andata via. 11 gennaio 2016.» (p.9) Jonathan Bazzi, a trentun anni si accorge di essere malato, di aver contratto l’Aids, proprio nell’anno in cui si tocca ancora il milione di morti per AIDS. Come si reagisce quando questa terribile malattia ci colpisce, personalmente?
Ho letto questo libro tutto d’un fiato. Ho amato subito questo giovane studente, insegnante di yoga costretto a smettere di vivere e lavorare per colpa di una febbre che lo annienta. Ho sofferto con lui e con tutti quelli che nella mia vita ho visto soccombere al male. Ricordo una bellissima ragazza bruna che fu rinchiusa nella casa sul fiume, perché con i genitori, il paese si vergognava della sua malattia. O di Luca, che si buttò sotto a un treno, il giorno dopo che aveva tentato di vendermi un Rolex.
Mi sono sempre sentita in colpa perché da giovane hippy ribelle e anticonformista non ho mai davvero avuto rapporti protetti e ho sempre rischiato senza però mai contrarre l’AIDS. E poi ho tradotto “Sangue dannato”, di Alexandre Bergamini, che racconta il mal di vivere che già lo tormentava prima della malattia, che si è trasformato in un incubo, quando il suo sangue si è “dannato”.
Un libro che fa una radiografia dei primi trent’anni di AIDS incrociando la propria vita, i sensi di colpa, gli ammalati considerati colpevoli, l’omosessualità, il pregiudizio, lo sfruttamento del virus da parte di case farmaceutiche e tanto altro ancora. E oggi leggo “Febbre” e per certi versi sono contenta perché per lui, almeno, non c’è lo spettro della morte. Oggi, l’AIDS si cura. Per altri versi, lo spettro si trasforma in altro, ma è un “altro” che si può combattere.
Oggi ci sono leggi che proteggono un po’ di più la libertà degli individui e la mentalità della collettività è più aperta e nelle fiction abbiamo coppie indistintamente etero o omosessuali. È vero, ci sono ancora episodi di violenza e di odio. Non si può dire che la società accetti in toto la libertà individuale. Bisogna quindi agire a livelli più profondi. Per Jonathan Bazzi, diventa una questione intima. È lui che deve accettare la febbre. La diagnosi. Per poter tenersi ancorato alla vita, alla nuova visione che non accetta, deve indagare il suo passato, la sua infanzia in un quartiere di case popolari, nell’hinterland milanese, le sue relazioni con gli altri e con il suo essere gay. Autofiction.
Come ben sapete, un romanzo di autofiction è un’opera di verità, l’autore non si nasconde dietro a un personaggio, ma è quel personaggio. La ricerca filosofica e spirituale del personaggio è quella dell’autore, il mondo ricreato dell’io narrativo coincide con il vissuto dell’autore. Finalista al Premio Strega 2020 – Finalista al Premio Giuseppe Berto 2019 – Vincitore del Premio Libro dell’anno 2019 di Fahrenheit Radio Rai Tre – Vincitore del Premio Bagutta Opera prima, un libro che disorienta, uno specchio per il lettore che vede le proprie emozioni svelarsi nella loro spiazzante crudezza.
Dedicato ai bambini invisibili, “Febbre” diventa una potente metafora della vita, il dolore stesso che definisce il nostro quotidiano. Proposto per il Premio Strega 2020 da Teresa Ciabatti: «Febbre di Jonathan Bazzi è un romanzo che testimonia un presente che è già futuro prossimo. Questa è una storia del tempo nuovo: perché il fuoco è sorprendentemente altrove rispetto a dove è stato messo fin qui da letteratura e senso comune. Esula dai giudizi e sposta il baricentro sull’accettazione delle fragilità. […] Il protagonista, creatura in divenire, non cerca un’identità, o almeno non nelle categorie esistenti, ma ne inventa una sua personale in cui si ama su internet (“usatemi per studiare il cuore del nuovo millennio, quello che prima s’innamora e poi ti vede in faccia”), in cui si può essere tutto, felicemente tutto: colto, balbuziente, emotivo, gay, ironico e anche sieropositivo.
L’Orlando di Virginia Woolf qui si condensa, e trova realizzazione in pochi anni. Non servono più secoli.» Forse Virginia Woolf non è proprio il mondo di Jonathan, ma di sicuro è femminile la scrittura che più lo attrae. Elsa Morante, Hannah Arendt, Simone Weil, solo per fare qualche nome. Le pensatrici usano una lingua nella quale Jonathan si riconosce. Sono davvero felice, commossa. Qualcosa nella letteratura sta cambiando. Il seme femminile agisce e s’insinua in sensibilità nuove. Chissà cosa ci riserva il futuro. Ma questa è la direzione che mi piace!
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
Recensione 2
Notevole! Emozionante! Un esordio di una forza incredibile. Jonathan Bazzi racconta la sua storia e lo fa attingendo al suo talento. Un talento che è nato, si è sviluppato e fortificato malgrado le avversità, anzi forse è proprio grazie a queste che è diventato così rilevante.
Nato a Rozzano, periferia scomoda della Milano glamour, quartiere dormitorio squallido e complicato, da genitori giovani e inesperti. Jonathan inizia subito a lottare. La sua vita e una lotta continua, interiore ed esteriore. Una vita difficoltosa, complicata sempre di più mano a mano che cresce, che si rende conto di essere diverso, di non combaciare con gli stereotipi sociali ma di essere già speciale, un pesce fuor d’acqua che ama studiare, leggere, che ama la cultura, in una luogo dove non esistono nemmeno librerie.
A Rozzano infatti non ce ne sono, solo chi sa menare chi è prepotente è degno di nota, non di certo chi è debole. Jonathan non ama esporsi parlare con chi non conosce. Lui soffre di balbuzie, questo lo renderà ancora più scollegato dalla socialità. Piccolo riccio che si chiude nel suo mondo interiore e si pone mille interrogativi, si mette in discussione, affronta a modo suo la vita con grazia e sensibilità. Poi il punto di svolta … la spada di Damocle si stacca e trafigge la sua testa, quando ormai adulto,ormai con la propria identità morale, sessuale, una relazione stabile, un amore sincero e bello da raccontare e vivere con Marius, ecco che una sentenza gli cambia la vita.
È sieropositivo, ha l’aids. Il campanello di allarme è una febbre, una febbricola bassa ma insistente, sempre presente che lo mette letteralmente a terra, lo priva della forza fisica e di volontà. Una febbre talmente anomala che lo induce a pensare al peggio tanto da sentirsi in un certo senso sollevato quando viene a conoscenza della reale causa del suo malessere.
Cambia tutto, ancora una volta, tutto da capo. Non è facile ma lui ormai è forte, più forte di chiunque altro. Non fisicamente, la sua forza è interiore. Lui non si nasconde, non occulta la malattia come è la prassi.Si espone, si eleva sopra a tutto e a tutti dando prova di coraggio, audacia fermezza ed enorme personalità. Il linguaggio icastico, a volte crudo, diretto senza fronzoli rapisce fin da subito. Lui non ha peli sulla lingua , lui racconta senza mascherare quella che è la sua esperienza, non abbellisce , non migliora, lui espone quello che è il suo vissuto. Davvero un gran bel libro!
Recensione di Patrizia Gnignera De Marchi
Recensione 3
Jonathan è nato a Rozzano, nelle case popolari con l’intonaco scrostato e brutta gente affacciata ai balconi, non sa fare a botte, è balbuziente, gli piace studiare e gli piacciono i maschi.
È figlio di genitori troppo giovani, del cui amore ben presto non rimarrà più nulla, a parte lui.
Lui, che odia il pallone e vorrebbe solo chiudersi in camera a cantare come Creamy (chi è stato bambino/a negli anni ’80 sa!), giocare con le bambole (che gli sono negate) e sognare di essere altrove.
Ma di Rozzano non ci si libera mai del tutto: ti rimane sottopelle.
Sa cosa vuol dire sentirsi sempre sbagliato, fuori posto.
Omosessuale in un ambiente impregnato di machismo…
Studente modello imprigionato tra le sbarre della balbuzie…
Delicato e romantico (e innamorato dell’amore), ma schiavo di rapporti sessuali brutali e spesso degradanti…
Jonathan conoscerà presto il senso di “non appartenenza”: ad una famiglia, ad un luogo, ad un ambiente sociale in cui non si riconosce e che lo esclude, deridendolo, costringendolo a vivere in un’intercapedine creatasi tra il cemento di quella periferia violenta che l’ha partorito.
È cresciuto credendo che fosse normale vergognarsi di essere se stesso, fino a quando la vita non l’ha messo di fronte ad una scelta difficilissima: soccombere e morire schiacciato dal pregiudizio oppure liberarsi della vergogna e provare a vedere l’effetto che fa.
DAVANTI AL PREGIUDIZIO ALZARE LA POSTA: MEGLIO TACERE?
LO SAPRANNO ANCHE I MURI.
Jonathan ha l’HIV.
Prima una febbre, mesi e mesi di febbricola che non vuole più andare via, che lo debilita, lo priva di tutte le energie, lo mangia dall’interno e lo scaraventa in un turbine di pensieri ansiogeni e ipocondriaci…
QUANDO SI HA PAURA DAVVERO, LA PAURA ANESTETIZZA ANCHE SE STESSA.
NON SI SENTE PIÙ NIENTE.
…poi la diagnosi di sieropositività.
Ed ecco che prova ad appropriarsi, attraverso le parole, di quello che gli è successo, per cercare di capire, per guardare oltre.
USARE LA DIAGNOSI PER ESPLORARE CIÒ CHE VIENE TACIUTO. DARLE UNO SCOPO, NON LASCIARLA AMMUFFIRE NEL RIPOSTIGLIO DELLE COSE SBAGLIATE.
VOGLIO RIMANERE LÀ DOVE STA IL DOLORE, PER FRAMMENTARLO CON LE PAROLE E FARGLI FARE UN PO’ MENO MALE.
“Febbre” è un libro bellissimo, non soltanto perché tratta una storia forte, di crescita, formazione, malattia, pregiudizio e riscatto, ma anche (e soprattutto) perché è scritto benissimo, con uno stile diretto, asciutto, efficace e incisivo…proprio come piace a me.
Si destreggia benissimo tra passato e presente, in un’alternanza equilibratissima che ci permette di capire non solo chi sia Jonathan, ma soprattutto da dove viene.
E come, proprio nell’istante in cui tutto sembra rompersi, inizia a volersi bene.
Recensione di Antonella Russi
Titolo presente nei 6 finalisti del Premio Strega 2020
e nelle 5 recensioni più cliccate ad Agosto 2020
Be the first to comment