FIGLI DEL VOLGA, di Guzel’ Jachina (Salani – settembre 2021)
Dopo “Zuleika apre gli occhi” il suo primo, superbo romanzo ispirato alla vita della propria madre, che descriveva le dure condizioni di vita dei contadini tatari deportati in massa all’inizio degli anni ’30, la scrittrice russo-tatara Guzel’ Jachina si occupa in questo suo secondo romanzo di un’altra minoranza oppressa, i tedeschi del Volga. Una comunità arrivata a popolare la Russia nel XVIII° secolo dietro invito dell’Imperatrice Caterina II e che subirà anch’essa requisizioni, carestie e deportazioni.
La storia, che si sviluppa tutta nell’arco temporale che va dal 1919 (l’Annus horribilis della Rivoluzione russa, il terzo della guerra civile) al 1941 ci trasporta sulle rive del Volga, a Gnadental, una colonia di tedeschi vicino alla città di Saratov. Questi coloni avevano ricevuto un riconoscimento ufficiale da parte di Lenin che aveva approvato la costituzione della Repubblica sovietica dei Tedeschi del Volga prima di conoscere poi, con Stalin, la deportazione mentre in Germania avanza e trionfa il Nazismo.
I coloni hanno sempre mantenuto la lingua e le usanze del loro paese di origine, molti di loro non parlano il russo.
Andiamo dunque ad assistere a vent’anni di storia di questo territorio marcata dalla collettivizzazione delle terre e dall’abolizione – nel 1941 – della Repubblica tedesca autonoma per decisione di Stalin. E’ uno spaccato di storia molto poco conosciuto se non ignorato, io credo, dai lettori italiani.
La storia politica ed economica di questi territori del Volga, sempre presente nel romanzo e raccontata con dettagli precisi ed appassionanti si intreccia con grande intelligenza con la storia d’amore semplice, poetica, anche tragica tra Jakob Bach, lo Schulmeister (il maestro di scuola) del villaggio e Klara Grimm figlia di un ricco tedesco che abita con il padre sull’altra sponda del fiume ed in seguito anche con la storia d’amore tra Bach e la piccola Ann (Annchen). Amore viscerale, sensoriale, che per manifestarsi non ha bisogno di parole.
Altro personaggio è il piccolo Vas’ka (otto o dieci anni al massimo, si direbbe dal suo aspetto). Vas’ka è un orfano vagabondo, uno di quei “Besprizornye” (bambini randagi, piccoli vagabondi) che dal 1917 al 1935 vagavano a milioni in tutta l’Unione Sovietica, fenomeno così ben descritto nell’eccellente e devastante saggio storico di Luciano Mecacci edito da Adelphi che avevo letto qualche anno fa. Vas’ka, selvaggio e affamato, che a dieci anni è già temprato dalla durissima lotta per la sopravvivenza e che “aveva un talento per le parolacce e il caos”. Un altro “figlio del Volga”.
Benché la trama del romanzo sia basata su fatti storici reali e documentati soprattutto nell’Epilogo ci si trova anche avvolti dall’ammaliante mondo di fiabe e leggende in cui si immergono i protagonisti per fuggire la difficile e dolorosa realtà dell’esistenza. Ma nonostante il loro isolamento essi verranno presto trascinati dalla follia del “mondo di fuori”, in cui sfuggire alla dicotomia del Bene e del Male sarà pressocché impossibile.
La riva sinistra del Volga, dove si trova Gadental è il Tempo, la Storia. La riva destra, sulle montagne verdi d’estate e bianche d’inverno, nella casa di Jakob e della sua famiglia, la vita che scorre fuori dal Tempo e dalla Storia.
Grandi avvenimenti che accadono al di là del fiume e delle montagne, mentre la Russia diventa Unione Sovietica e il mondo si fa la guerra.
Due mondi tra loro impermeabili fino a quando l’amore tra Jakob e Klara rompe il sigillo che separava le due realtà, con conseguenze inimmaginabili.
Racconto nidificato che mescola il contenuto, il fantastico, la poesia il romanzesco e la storia politica ed economica della Russia all’inizio del 20° secolo “Figli del Volga” è anche un romanzo di formazione. Guzel’ Jachina mette insieme fatti storici realmente avvenuti e documentati, spesso agghiaccianti o assurdi con delle scene incredibilmente fantastiche al punto tale da renderci perplessi: quello che stiamo leggendo è la descrizione di un sogno o della realtà? Proprio come le matrioske, le famose bambole russe che si incastrano l’una dentro l’altra, lo stile del realismo si mescola con la magia e l’aspetto magico dona alla narrazione un tocco straordinario. Il fantastico “colora” il racconto.
“Figli del Volga” è un racconto epico che narra le gesta eroiche di un padre, il suo sacrificio ed un amore incondizionato per la moglie e per quei figli che non ha generato, un romanzo che si colloca tra la grande tradizione del romanzo russo ed il ricco patrimonio di fiabe popolari e che accanto a figure di primissimo piano come Stalin (che non viene mai nominato se non come “lui”) che però sono poste sempre in secondo piano mette in scena una comunità di personaggi umili, quelli che la grande storia travolge e dimentica in una vera e propria epopea da ritmo cadenzato dell’oralità.
Un racconto che, come fa con il protagonista, sballotta il lettore da una riva all’altra in un continuo andirivieni. E sullo sfondo la grande Storia.
Come già aveva fatto in “Zuleika apre gli occhi”, Guzel’ Jachina intinge la sua penna in un inchiostro fatto di odori, colori, sapori. È come seguire in barca la corrente del Volga, un meraviglioso, fluviale romanzo, come nei grandi classici russi.
Romanzo che non si lascia ingabbiare in una categoria precisa, in cui si trovano caratteristiche del romanzo storico, del romanzo d’amore, del romanzo psicologico, del romanzo fantastico. Il fantastico appare nei racconti onirici spesso inquietanti.
Un libro, “Figli del Volga”, altrettanto bello e molto diverso da “Zuleika apre gli occhi” e che a mio parere conferma il grande talento di Guzel’ Jachina e la scoperta di una vera pietra preziosa della letteratura russa contemporanea.
Di questo libro parlo più approfonditamente nel mio blog
Recensione di Gabriella Alù
FIGLI DEL VOLGA Guzel’ Jachina
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