FIORI PER ALGERNON, di Daniel Keyes
Recensione 1
Questo romanzo, ormai famosissimo, è in realtà l’ampliamento di un racconto dallo stesso titolo pubblicato qualche anno prima dallo stesso autore: la trama e lo stile rimangono inalterati ma ampliati, mentre il racconto prende struttura più complessa, con digressioni e riflessioni e maggior presenza di personaggi secondari, che meglio defiiscono la condizione di vita del protagonista.
Fiori per Algernon racconta la vicenda di Charlie, un ritardato mentale che, dopo essere stato sottoposto a un’operazione sperimentale, acquista un intelletto superiore il quale gli permette di scoprire il mondo che lo circonda da un punto di vista del tutto inedito.
L’ autore suggerisce che l’esperienza di Charlie può essere paragonata a quella di un alieno appena sceso sulla Terra, per il quale tutto è nuovo e sconvolgente: tuttavia l’evoluzione accelerata invertirà presto, e altrettanto rapidamente, il suo corso.
La classificazione di Fiori per Algernon come Fantascienza è adatta a descrivere solo in parte e superficialmente, la complessità di quest’opera, che unisce all’elemento fantastico, in verità appena accennato, una profonda e amara riflessione sulla diversità umana, sui rapporti sociali e sui sentimenti, elementi analizzati con una profondità e una poesia davvero rara.
Anche lo stile di scrittura, che si evolve e acquista spessore in parallelo all’evoluzione del protagonista, risulta una geniale trovata stilistica, destinata a imprimersi nella memoria del lettore, insieme alle caratterizzazioni psicologiche dei personaggi, realistiche senza essere patetiche.
Se cercate storie drammatiche, ma non lacrimevoli e siete alla ricerca di poesia senza incorrere nel facile buonismo, allora Fiori per Algernon è un romanzo che non può mancarvi, anche se tra le due versioni forse io preferisco quella breve, più sintetica e asciutta.
Recensione di Valentina Leoni
Recensione 2
“ Adamo ed Eva mangiarono
Il pomo dell’albero della conoscenza”
Nato come un racconto di fantascienza dalla penna dello psicologo e scrittore Daniel Keyes (1927-2014) nel 1959, vincitore del Premio Hugo come miglior racconto breve, venne ampliato, riveduto e corretto in alcune sue parti dando vita all’omonimo romanzo (edito in Italia nel 1967), fino a diventare un classico della letteratura inglese del XX secolo. Da esso vennero tratti numerosi adattamenti televisivi e cinematografici e persino un musical di grande successo a Broadway.
Di fantascienza, così come di solito la intendiamo, c’è davvero poco nel libro: non robot, non alieni, non pianeti sconosciuti da esplorare o conquistare e la classificazione nella categoria non è propriamente adatta a questo romanzo dai connotati fortemente psicologici, generatore di molteplici domande su temi diversi e interessanti che esulano dall’incasellamento di genere.
La storia, drammatica e garbata, è quella di Charlie Gordon, un ragazzo ritardato ormai ultratrentenne che vive la sua vita animato da un desiderio fortissimo che cerca in tutti i modi di realizzare: quello di diventare più intelligente, di capire il mondo che lo circonda, di essere accettato dalla società, di sentirsi simile agli altri.
Charlie, senza una famiglia alle spalle ( sapremo poi che esiste conoscendone la storia man mano che il suo cervello s’illuminerà di flashback sempre più esaustivi della sua vita passata), affetto forse da fenilchetonuria, una malattia che non riconosciuta né curata può essere causa di grave ritardo mentale, viene sottoposto da un gruppo di scienziati ad una operazione al cervello, innovativa e delicatissima, che dovrebbe essere in grado di triplicare il suo Quoziente Intellettivo. L’esperimento vede Charlie come prima cavia umana. Prima di lui era stato eseguito solo su animali e la prova vivente del successo ottenuto è Algernon, un topino bianco da laboratorio reso talmente intelligente dalla procedura da superare molti esseri umani nella risoluzione di problemi di varia natura.
Anche l’intervento sul cervello della cavia umana Charlie si rivela un autentico trionfo. Charlie, pian piano diventa sempre più intelligente, accresce la sua cultura a dismisura, diventa un vero e proprio genio e, se prima era un diverso perché ritardato mentale, ora è un diverso perché le sue capacità mentali superano di gran lunga quelle di tutti gli altri.
Ma l’intelligenza, pur essendo una magnifica dote, davvero può condurre l’essere umano verso la felicità? Può migliorare la comunicazione, l’empatia, può evitarci la solitudine? Può donare affetti sinceri? E’ vero che c’è emarginazione degli individui con ritardo mentale che spesso non vengono accettati neanche dalla propria famiglia e vengono addirittura nascosti per vergogna, che vengono derisi e considerati da molti dei subumani? Ed è vero che anche un’intelligenza superiore alla norma può essere un ostacolo al rapporto con gli altri se non accompagnata dalla simpatia, dalla sincerità, dal calore umano e si pasce di troppa ostentazione, di autocompiacimento, di inconscio o conscio disprezzo? Che questo dono naturale può creare il vuoto intorno a chi non sa usarlo con semplicità e spontaneità?
Il romanzo, scritto negli anni 60, è emblematico dell’idea di diversità concepita in quel periodo anche se tanti anni dopo, certe dinamiche legate all’intelletto e più o meno esteriormente rivelate, sono rimaste le stesse.
Le parole di Charlie, sottoforma di “rapporti” da consegnare puntualmente agli scienziati che lo seguono, ci coinvolgono totalmente. Vedremo lui buono e docile, con tutte le sue enormi difficoltà di scrittura, trasformarsi velocemente in una persona dall’intelletto e dallo spirito di osservazione acutissimo, assistendo poi ad un declino annunciato, consapevole e tremendamente triste, lo stesso del topino Algernon.
Un libro bello, pieno di suspense, avvincente e commovente, che sconvolge e trascina all’interno dei ricordi e delle illusioni del protagonista, nel suo nucleo di tentativi disperati per non perdere ciò che ha tanto faticosamente conquistato. Un libro in cui si intravede anche un’altra chiave di lettura, metafora della vita stessa, infanzia, età adulta, vecchiaia: una lotta verso conquiste esaltanti, tipiche della giovinezza e perdite angoscianti affastellate nell’ultima parte dell’arco precostituito delle nostre vite.
Recensione di Maristella Copula
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