FREDDI FIORI D’APRILE, di Ismail Kadaré (Longanesi)
Leggere e scoprire che il sapere è un contenitore bucato, fa acqua da tutte le parti. Invece il sogno può lasciarsi cullare da onde di mare multiforme e gioire di non trattenerne il movimento. Allora le parole si maculano d’incanto.
Una piccola cittadina nel Nord dell’Albania sul nascere del terzo millennio. Circa un decennio dopo la caduta del comunismo, il trauma non è stato ancora assorbito. La vita sembra procedere, senza ricordi dei tempi recenti e meno recenti e delle ferite inferte. Tutto sembra progredire verso un modello di società occidentale. Il gusto e gli obiettivi sembrano adeguarsi senza troppe cadute di stile. Persino una rapina in banca viene percepita come un segno di questa modernizzazione in atto. Ma si verificano strani episodi. Vengono rievocati eventi enigmatici del passato. Due anni prima, due secoli prima, millenni prima: così le nozze di una fanciulla con un serpente.
In un borgo della cittadina, in un luogo apparentemente deserto, c’è chi cerca un cunicolo, una sorta di galleria. Sembra che porti al bunker dove si dice siano nascosto gli Archivi segreti. Addirittura corre voce che siano riapparsi i fantasmi di Enver Hoxha, di Brežnev, di Ulbricht, di Thorez, persino di Edipo Re. «Ogni tiranno è un’infinita potenzialità di crimini. Il giorno in cui egli cinge la corona, questi crimini vengono trasferiti dal futuro, il tempo che ancora non è, al passato, fino a trovare asilo nel porto più sicuro, il grembo materno…» (p 181)
Passionale, sensuale, “Freddi fiori d’aprile” è una storia d’amore fra un pittore e una giovane modella che si svolge in questo quadro sullo sfondo della primavera albanese. Come sa fare Ismail Kadaré, leggende e tradizioni locali ancestrali s’intrecciano con i fatti della vita quotidiana e quasi nemmeno noi, lettori ce ne accorgiamo. «Erano davvero fiori / ma marzo era passato / oppure si era in marzo / ma falsi erano i fiori…» I versi in esergo annunciano una narrazione dove tutto si mescola o si colora di fiabesco. Come in un mondo incantato la finzione diventa realtà, la bugia si materializza e i sentimenti si liquefanno o si cristallizzano… dipende dal fluire del tempo e dal corpo che lo veicola.
“Freddi fiori d’aprile” rievoca un’antica leggenda albanese, quella delle Streghe d’Aprile. Le frequenti piogge e intemperie durante il mese di aprile sono legate ad una storia in Albania. Si narra che all’albore dei tempi, una volta finito l’inverno, alcune donne anziane andarono in una montagna e gridarono: “Caro Inverno addio e vai all’inferno”. Anche se era aprile, l’inverno però non le ascoltò e ritornò di nuovo. Le donne si congelarono e morirono. Mai sfidare la natura e le stagioni. Prepararsi e proteggersi dal freddo, ancora, anche ad aprile dove soprattutto nelle zone montagnose il freddo può essere molto rigido dopo miti giornate di primavera. Anche metaforicamente e storicamente.
Ma la vera protagonista è forse un’altra leggenda, che riaffiora, in un paese sconvolto da cambiamenti epocali. Viene narrata nel contro-capitolo del capitolo primo, quasi a indicare una controstoria, o l’esistenza parallela di più storie, più mondi, più periodi storici. Racconta di una giovane costretta dal padre, per compensare una sua colpa, a sposare un serpente, mentre la realtà contemporanea s’imbatte in un serpente, trovato per strada da dei ragazzini, suscitando la curiosità dei passanti. Un serpente apparentemente senza vita, presumibilmente in letargo. È vivo? È morto? Il serpente della leggenda si volatilizza, ma quello ritrovato per strada?
Kadaré introduce così il lettore alla metamorfosi che riguarda il suo paese, che come il serpente si sveglia dal letargo. Come la gente che rimane lì a guardare senza sapere cosa fare, mentre spettri del passato riemergono inquietanti. Nonostante ciò, “Freddi fiori d’aprile” non è un romanzo gotico, e nemmeno di fantascienza. È invece una riflessione, con un tocco d’ironia, sulla storia e il modo di leggere le evoluzioni della storia, dove politica e privato si interfacciano violentemente lasciando però uno spiraglio agli amori e ai sogni degli uomini. Mark, il protagonista pittore innamorato della modella con la famiglia succube della legge Kanun, si sente un po’ serpente anche lui. Secondo i desideri del padre poliziotto, avrebbe dovuto onorare la divisa della Polizia criminale, (la pelle del serpente). Ed ecco che a complicare le visioni storiche interviene la mitologia e compare Edipo Re: «Uomo enigmatico, padre e figlio di te stesso, perché accollarti un crimine che non avevi commesso?» (p 181) E ancora: «Lassù, attraverso le lenti appannate del binocolo, Edipo continuava ad arrovesciare gli occhi inesistenti. Tiranno cieco, esclamò Mark ancora una volta, padre e figlio del delitto, cosa cerchi con il tuo non-sguardo?» (pp 181-182)
E con un non-sguardo sembra finire questa storia, perché gli occhi devono ancora fotografare l’immagine del quotidiano e il pensiero devono ancora digerirlo… Si sa, ci vuole tempo e moderazione, per capire. Passione e leggerezza per vivere. Questo trattengo da “Freddi fiori d’aprile”. Lettori, impariamo la lezione. Se siamo su questa lunghezza d’onda. Altrimenti Ismail Kadaré si accontenta di un nostro nuovo sguardo sul suo paese, e la storia del suo paese.
Recensione di IO LEGGO DI TUTTO, DAPPERTUTTO E SEMPRE. E TU? di Sylvia Zanotto
FREDDI FIORI D’APRILE Ismail Kadaré
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