GENTE INDIPENDENTE, di Halldór Laxness
“Io, da parte mia dico che un uomo si perde molto nella vita, finché non è indipendente. Gli
esseri umani che non sono indipendenti non sono esseri umani. Uno che non è padrone di
se stesso, è come un uomo senza un cane.”
Il romanzo di Laxness, sotto al titolo principale, in alcune edizioni porta il sottotitolo
“Un’Epopea” e viene considerato dagli esperti un grande classico della letteratura islandese.
Scritto tra il 1933 e il 1935, quando ancora l’isola del nord era sotto la corona Danese, è
stato uno dei lavori più sofferti del premio Nobel – vinto nel 1955 – e ha rappresentato una
svolta nella letteratura locale. Fino ad allora, infatti, i romanzi che si trovavano lassù erano
per lo più traduzioni di libri stranieri, dal momento che la produzione locale risentiva ancora
l’influenza delle saghe in rima e dei poemi epici. Fu proprio Laxness ad inventare dal nulla
una letteratura in prosa basata sull’islandese moderno. Eppure, la sua “nuova” letteratura
attingeva dal passato, dalla cultura contadina e dalle credenze, che passavano per gli spiriti
maligni, per arrivare ai troll e al popolo nascosto, e attraverso numerose citazioni estratte da
saghe più o meno famose.
Ma di che cosa parla, questo romanzo? Mi verrebbe da dire di pecore, spiriti maligni e
ancora pecore. Bjartur di Sumarhús è un contadino valligiano del sud, che dopo diciotto anni
di lavoro, riesce a comprare un appezzamento di terreno sulla brughiera, brullo, spoglio,
poco produttivo, ma suo. La zona però è infestata dallo spirito vendicativo di Kolumkilli
l’Irlandese (San Colum Cille, uno dei primi santi irlandesi), tra i primi colonizzatori dell’isola,
definito un negromante e stregone, cacciato dai norreni quando questi si stabilirono
definitivamente in Islanda. Per vendicarsi, Kolumkilli giurò che il nuovo popolo non avrebbe
mai prosperato su quelle terre e altre amenità simili, che poi parvero avverarsi. Per non
parlare di Gunnvör, donna energica che strinse un patto diabolico con Kolumkilli, offrendogli
tributi umani. Tutto questo sulle terre di proprietà di Bjartur, dove lui alleva le sue pecore.
Ma Bjartur è un uomo pratico, forse un po’ ottuso, con l’unico obiettivo di essere indipendente,
non essere al soldo di nessuno se non di sé stesso, un uomo che cerca la libertà ad ogni
costo, anche a quello di perdere mogli – due – e figli e non crede a queste fesserie.
Ma non parla solo di pecore, sebbene queste siano lo spunto per affrontare tematiche molto
più serie, che vanno dalla religione, alla politica, alla modernizzazione. Infatti, per alcuni
aspetti, il romanzo può essere anche considerato storico, dal momento che dipinge il
microcosmo della società contadina di inizio novecento, con le sue difficoltà, la povertà, la
fame, tuttavia si tratta di una fetta di popolazione che veniva considerata la colonna portante
della comunità e dei suoi sviluppi successivi ai cambiamenti storici, come la Prima Guerra
Mondiale.
Arnaldur Indriðarson (il giallista sì, lui), parlando proprio della nascita del filone giallo
islandese, dice:
“Fino a prima della guerra sopravvivere nelle isolatissime fattorie islandesi era una
scommessa che in molti perdevano. Molti bambini morivano precocemente e se
invece morivano i genitori i figli venivano redistribuiti nelle fattorie, lo stato pagava
altre famiglie per il loro mantenimento, ma certo il destino dei piccoli non era sempre
felice.”
Ed è esattamente quello che Laxness ritrae nel suo lavoro attraverso la vita di
Bjartur e dei suoi concittadini, le difficoltà quotidiane e la sua personale guerra
mondiale per l’indipendenza, una guerra che lui sembra perdere, come perde,
dicevo, mogli e figli, alcuni a causa della morte ed altri per allontanamento. Bjartur è
un uomo controverso, tanto ottuso quanto ostinato, duro eppure tenero coi bambini e
le sue pecore, vive dei suoi ideali ferrei, divertente e sciocco eppure il suo pensiero
è, a volte, addirittura filosofico e lo esprime componendo quartine e poesie.
Sì, Bjartur perde tutto, anche quello che gli era costato anni di durissimo lavoro e di
sacrifici, ma non si dà mai per vinto, non alimenta mai il suo dolore, si accontenta di
quello che resta quando perde quel che aveva. Ma Bjartur ritrova l’amore della
figlia-non figlia Ásta Sóllilja, dopo aver capito qual era la vera indipendenza che
cercava, un amore che va oltre la parentela, oltre il maligno che infesta Sumarhús.
E’ un eroe tragicomico i cui gesti si ripercuotono duramente su chi gli sta vicino, ma
un eroe che si scopre capace di amare qualcun altro, oltre alla sua agognata
indipendenza. Le pagine che raccontano questa scoperta sono di un’intensità
emotiva assoluta e chiudono in maniera egregia un libro importante, potente e
vigoroso.
Seppure fortemente criticato per il ritratto meschino che fa del suo popolo, Gente
indipendente è un’opera di amore autentico di Laxness per la sua nazione, la
metafora dell’indipendenza stessa dell’Islanda dalla Danimarca, che si manifesta
proprio attraverso le contraddizioni del suo protagonista.
“Gli islandesi sono sempre stati una nazione libera e indipendente, dall’antichità. L’Islanda è
stata colonizzata da capi liberi che preferivano vivere e morire nell’isolamento piuttosto che
servire un re straniero.”
Recensione di Chiara Carnio
GENTE INDIPENDENTE Halldór Laxness
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