GIOBBE. Romanzo di un uomo semplice, di Joseph Roth (edizioni Theoria)
Recensione 1
Dopo la lettura dell’Idiota di Dostoevskij e della Signora delle camelie di Dumas, dove sono stata sballottata a destra e sinistra da una miriade di personaggi, da intrighi, vendette, losche trame, follia, cattiveria e febbri cerebrali, tra Parigi e San Pietroburgo, sono stata accolta nella casa di Mendel Singer, un insegnante ebreo russo e della sua famiglia.
Quiete, silenzio, il lento scorrere del tempo scandito dai riti religiosi, tepore…ecco quello che ho trovato.
Giobbe di Joseph Roth è un libro delicato, poetico, semplice, essenziale che mi è arrivato dritto al cuore.
Mendel Singer vive con la moglie Deborah e i suoi tre figli in un villaggio russo ai confini con la Polonia.
Alla nascita del quarto figlio, Menuchim, sembra che il mondo di Mendel Singer crolli, colpito da una disgrazia senza pari: il bimbo è gravemente ritardato.
Mendel si rassegna, così ha voluto Dio; Deborah invece non si dà pace e va a chiedere la benedizione del Rabbì.
E il Rabbì lo benedirà: “Menuchim, figlio di Mendel, guarirà. Pari a lui non ce ne saranno molti in Israele. Il dolore lo farà saggio, la deformità buono, l’amarezza mite e la malattia forte. I suoi occhi saranno grandi e profondi, le sue orecchie limpide e piene di risonanza. La sua bocca tacerà ma le labbra, quando si apriranno, annunceranno il bene.”
Una serie di fatalità porterà la famiglia Singer in America, tutti partiranno tranne Jonas, che diventa un soldato, e Menuchim che non può affrontare la traversata verso il Nuovo Mondo e viene affidato ad una famiglia ebrea, la benedizione del Rabbì sembra essere vana…
C’è tutta una vita in questo breve ma intenso testo: sofferenza, dolore, malattia, maledizioni e benedizioni, fortuna, ricchezza, povertà, c’è amore in tutte le sue forme.
E c’è fede e speranza.
Mendel Singer, esattamente come il Giobbe biblico accetta quello che Dio gli manda, nel bene e soprattutto nel male. Lo ringrazia per le benedizioni con i rituali e le preghiere che i suoi padri gli hanno insegnato.
Ma quando viene messo a dura prova, come Dio ha messo a dura prova Giobbe chiedendo l’intervento di Satana, al contrario del Giobbe biblico che grida la sua innocenza e alza la voce verso Dio per le ingiuste punizioni che gli ha mandato, Mendel Singer invece smette di pregare, sembra smetta di credere.
La sua vita subisce una svolta e diventa un uomo semplice, fermo, lucido, forte e incrollabile.
E nel finale Roth mi ha abbracciato e mi ha riconciliato con questa storia, riconsegnandomi la giusta ricompensa, quella del biblico Giobbe.
“Mendel si addormentò. E si riposò dal peso della felicità e dalla grandezza dei miracoli”
Buona lettura!
Recensione di Cristina Costa
Recensione 2
Quando Deborah che viveva serena nel suo villaggio ai confini con la Russia col marito, il maestro Mendel ed i tre figli, si accorge che il quarto nato non è normale, cerca con ostinata disperazione il modo di risolvere il problema del suo piccolo Menuchim.
A quei tempi e in quei luoghi la cultura yddish era ancora diffidente verso la medicina, così Deborah si rivolge al Rabbi che pronuncia parole sibilline.
Particolare non indifferente, come si vedrà poi.
Donna concreta e’ Deborah. (e’ una madre).
Ma il nostro Mendel – Giobbe e’ diverso, accetta
tutto quello che Dio gli manda, con paziente rassegnazione.
Secoli di persecuzioni del suo popolo scorrono nel suo sangue. Mica per niente richiama il
personaggio biblico su cui Dio provo’ e riprovo’
mediante Satana la sua incrollabile fede.
Però i tempi sono in trasformazione, i tre figli grandi diventano oggetto di preoccupazione
e la soluzione per la famiglia sembra quella di migrare in America, dopo aver affidato il piccino deforme ad amici fidati.
Proprio in America, sradicato dal suo mondo,
il vecchio ebreo vede la sua famiglia disgregarsi e Deborah morire di crepacuore.
Così il mite, osservante Mendel lancia la sua invettiva verso Dio:
“Dio e’ crudele, e più gli ubbidisci più ti tratta
con severità.
Solo i deboli ama annientare.
La debolezza di un uomo eccita la sua forza, l’obbedienza risveglia la sua ira…”
Quella sera egli non parteciperà alla preghiera comune.
Nella sua fede ingenua, solo un miracolo potrà riconciliarlo con la divinità…
Ora, il finale a seconda di come la pensiate,
può risultare poetico e toccante o suscitare
perplessità.
*. *. *. *. *
Amo questo scrittore da quando lessi “La marcia di Radetski” che rimane per me la migliore delle sue opere.
Qui attraverso la vita di una semplice famiglia
ebrea, ci porta a conoscere il fenomeno della
dispersione ebraica nell’Europa centrale agli albori del xx secolo e della migrazione in America, nuova terra promessa.
Anche in “Giobbe” l’autore si rivela con la sua
prosa tanto semplice e piana quanto più potente, un grande cantore di civiltà al tramonto, le quali civiltà quando declinano,
assumono un particolare e tragico fascino.
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