GLI AMBASCIATORI, di Henry James
James ha una palese caratteristica: scrive in modo molto complesso e involuto, che rende difficile la lettura, come le omissioni e le frasi lasciate a metà. Ciò non accade per problemi di traduzione perché, letto in inglese, i problemi sono gli stessi e nemmeno perché l’autore non ha il dono della sintesi ma perché cerca di rappresentare in tal modo l’ambiente interiore dei suoi personaggi, spesso collocati in raffinate cornici esteriori, e le loro evoluzioni. Io ne sono avvezza perché ho letto sia “Ritratto di signora” sia “La coppa d’oro”, e soprattutto l’ultimo è un mirabile capolavoro di raffinati incisi e ambiguità.
Per chi si avvicina al grande Henry forse meglio cominciare da qualche suo libro più facile quale “Giro di vite” o “Daisy Miller”, sebbene lo stile sia molto diverso e ancora non maturo.
In questo libro specifico James contrappone come già in “Ritratto di signora” il Nuovo Mondo innocente e puritano e il Vecchio Mondo raffinato, seducente ed irrimediabilmente corrotto. Il protagonista è un distinto e ingenuo signore americano, che ha passato la cinquantina e che ha il compito di riportare a casa in un sonnolente paesino americano il rampollo dissoluto della imponente e ricca matrona che vuole sposare.
Il nostro Strether sente irrimediabilmente il passare del tempo e rimpiange la gioventù che non ha mai potuto vivere e di cui rinviene un’eco di quello che avrebbe potuto essere a Parigi in giardini e ambienti raffinati durante la sua missione di “salvataggio”. Tuttavia l’incontro con il ragazzo, profondamente mutato, e con la raffinata signora sposata di età più matura di lui che avrebbe indotto il cambiamento lo portano a cadere in una rete di inganni ordita dalla signora stessa e che influenzano profondamente le sue scelte.
La signora, che vediamo solo attraverso i suoi occhi, ha del resto la sfortuna di cui soffrono alcune eroine di James (penso a Charlotte de “La coppa d’oro”): pur bella e raffinata, si è innamorata perdutamente di un uomo che vale meno di lei e che ha paura di perdere e subordina tutto a questo amore, circostanza che rende Strether particolarmente desideroso di salvarla.
Quello che il nostro eroe non concepisce e in cui viene ingannato (perché desidera essere ingannato) è il carattere della relazione: lei ha mutato profondamente lui ma la loro relazione non è scevra del carattere volgare e terreno, sebbene lei non possa divorziare e sia più vecchia di lui. Del resto James ha una certa audacia quando parla di relazioni per l’epoca, anche se la sua ritrosia a parlare esplicitamente di sesso rende la materia mai volgare come avrebbe potuto essere nelle mani di altri (anche ne “La coppa d’oro, in cui si parla di una relazione tra padre e figlia che quasi sfiora l’incesto e di un adulterio protratto a lungo, non si scade mai nella volgarità).
Non che la vera natura della relazione non venga capita facilmente, se perfino la sorella del reprobo, signora puritana con ben poca esperienza del mondo, comprende rapidamente la situazione. Invano: lui insiste e persiste nelle sue idealizzazioni della realtà, come un Don Chisciotte puritano, avendo come guida e confidente una signorina con cui scambia molte battute che dovrebbero chiarire la situazione ma sono piene di omissioni che la complicano.
Forse il romanzo più crudele di James sulla bellezza delle illusioni e sui rimpianti di una vita spesa male e mai vissuta a fondo, che, se si comprende bene, finisce molto amaramente.
Se non vi fate spaventare dalla difficoltà di lettura (che è innegabile), troverete riflessioni argute nella cornice raffinata di Parigi su quello che in fondo preoccupa tutti, invecchiare scoprendo di aver vissuto male il nostro tempo.
Che peccato davvero che non si trovi più in edizione cartacea un altro romanzo di questo straordinario autore, “Le ali della colomba”.
Cercavo appunto un altro parere su questo libro. Trovo la recensione di Eleonora molto precisa e la condivido. La complessità di scrittura è davvero una sfida, caratteristica di James, ma anche quanto lo rende moderno. Le incertezze di comprensione rispecchiano la difficoltà di comprendersi (ad esempio le ambiguità su chi sta parlando e di chi). davvero antesignano di Joyce e Freud al tempo stesso. L’estremo pudore poi è un altro tratto caratteristico, benché sia infine abbastanza chiaro al lettore quello che accade ai personaggi, e che evidentemente il protagonista non vede, o meglio non ammette nemmeno verso sè stesso (come l’innegabile attrazione non solo verso la signora, ma anche verso il giovane).
Certo lettura complessa, ma non meno dei nostri pensieri.